

Fabrizio De André
Le acciughe fanno il pallone (Live)
Il testo di questa canzone dell’ultimo De André, scritto assieme ad Ivano Fossati, contenuto nell’album Anime Salve ( il tredicesimo di De Andrè, del 1996), é un vero piccolo capolavoro, non apprezzato come merita. I due cantautori, genovesi entrambi, si rifanno a una leggenda popolari della loro città e alla vita dei pescatori.
Le acciughe fanno il pallone
Che sotto c’è l’alalunga
Se non butti la rete
Non te ne lascia una
Alla riva sbarcherò
Alla riva verrà la gente
Questi pesci sorpresi
Li venderò per niente
Se sbarcherò alla foce
E alla foce non c’è nessuno
La faccia mi laverò
Nell’acqua del torrente
Ogni tre ami
C’è una stella marina
Amo per amo
C’è una stella che trema
Ogni tre lacrime
Batte la campana
Passano le villeggianti
Con gli occhi di vetro scuro
Passano sotto le reti
Che asciugano sul muro
E in mare c’è una fortuna
Che viene dall’oriente
Che tutti l’hanno vista
E nessuno la prende
Ogni tre ami
C’è una stella marina
Ogni tre stelle
C’è un aereo che vola
Ogni tre notti un sogno
Che mi consola
Bottiglia legata stretta
Come un’esca da trascinare
Sorso di vena dolce
Che liberi dal male
Se prendo il pesce d’oro
Ve la farò vedere
Se prendo il pesce d’oro
Mi sposerò all’altare
Ogni tre ami
C’è una stella marina
Ogni tre stelle
C’è un aereo che vola
Ogni balcone
Una bocca che m’innamora
Ogni tre ami
C’è una stella marina
Ogni tre stelle
C’è un aereo che vola
Ogni balcone
Una bocca che m’innamora
Le acciughe fanno il pallone
Che sotto c’è l’alalunga
Se non butti la rete
Non te ne restauna
Non te ne lascia una
Non te ne lascia
A Genova una storia si tramanda da generazioni: al principio del mondo, le acciughe erano stelle. Fu la luna, invidiosa della loro luminescenza, a cacciarle in mare. Questi piccoli pesci argentei confondono le luci del firmamento cui vorrebbero tornare, con le lampare. Infatti le acciughe vengono pescate solo nelle notti in cui non vi è luna piena. La luce della luna ostacolerebbe la pesca. I piccoli pesci tornano in superficie attirati dal miraggio artificiale. Vorrebbero ricongiungersi al cielo, ma finiscono nelle reti. I pescatori di acciughe sono pescatori di stelle.
“Carpe diem!” di oraziana memoria sembra dire Fabrizio De André al pescatore. È proprio nel momento in cui le acciughe si riuniscono in un fitto banco vorticoso (fanno il pallone) per sfuggire all’alalunga, il pescatore deve essere rapido a gettare le sue reti, prima che il vorace tonno le divori. Le acciughe fanno il pallone sembra significare in ultima analisi l’impossibilità, di poter scegliere. Le acciughe sono protagoniste di un viaggio senza speranza e restano vittime di un destino crudele che permette loro di scegliere unicamente di che morte morire: o il pescatore che le cattura dall’alto o l’allunga che le divora dal basso
De André fa riferimento anche a un’altra leggenda, proveniente da lontano: quella del “pesciolino d’oro” dello scrittore russo Aleksandr Puškin:
“Se prendo il pesce d’oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d’oro
mi sposerò all’altare”
È infatti il magico pesciolino d’oro l’unico che potrebbe esaudire il desiderio del pescatore, e con lui dell’uomo in generale, di cogliere comunque il momento che possa cambiare la sua vita, in cerca di un “sogno che mi consola” e di “una bocca che mi innamora”.
Alla figura delle acciughe che restano intrappolate nelle sue reti e che verranno vendute al mercato si contrappone infatti quelle delle “villeggianti con gli occhi di vetro scuro” che “passano sotto le reti che asciugano sul muro” senza rimanervi e senza che lui riesca a coglierle, proprio come quella “fortuna, che viene dall’oriente, che tutti l’hanno vista e nessuno la prende.”
Come si vede, siamo di fronte a una delle vette creative non solo del percorso di De André, ma della canzone d’autore italiana dell’ultimo mezzo secolo.