

Era de maggio, 1885
(Salvatore Di Giacomo – Pasquale Mario Costa)
Per molti è la più bella canzone napoletana, della quale conservo il manoscritto originale dove alle fine dei versi Di Giacomo ha scritto: “quant’è bella”. Anche per me è emblema di bellezza e spesso la suono al risveglio, al posto di un preludio di Bach, affinché inizi la giornata all’insegna della bellezza, del rinascere, della luce, dell’ottimismo… un balsamo in questi tempi più che bui improntati al diffondere della paura, della iatrogenia spesso mortale, della cattiveria, dell’inganno. Ecco, questi pochi versi nati da un cuore puro, versi veri, sono la cura dell’anima oltraggiata, del corpo ferito, versi che come d’incanto, fanno sfumare l’angoscia, la paura, il dolore.
Era de maggio, e te cadeono ‘nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse…
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio io, no, nun me ne scordo
‘na canzone contàvemo a ddoie voce
cchiù tiempe passa e cchiù me n’allicordo
fresca era ll’aria e la canzone dolce.
E diceva: «Core, core!
Core mio luntano vaie
tu me lasse e io conto l’ore
chi sa quanno turnarraie!»
Rispunnev’io: «Turnarraggio
quanno tornano li rose
si stu sciore torna a maggio
pure a maggio io stonco ccà,
si stu sciore torna a maggio
pure a maggio io stonco ccà.»
E sò turnato, e mò, comm’a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tempo e lu munno s’avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m’annammuraie,
si t’allicuorde, nnanze a la funtana
l’acqua llà dinto nun se secca maie
e ferita d’ammore nun se sana.
Nun se sana, ca sanata
si se fosse, gioia mia,
mmiezo a st’aria mbarzamata
a guardarte io nun starria!
E te dico: Core core!
core mio, turnato io sò
torna maggio e torna ammore,
fa de me chello che vuò!
Torna maggio e torna ammore,
fa de me chello che vuò!
Tra lodi e critiche i tenori hanno marcato potentemente la storia della canzone napoletana e contribuito alla sua diffusione su scala internazionale. C’è chi ha sostenuto e sostiene che la canzone napoletana andrebbe cantata con voce suadente e leggera con il solo accompagnamento di chitarre e strumenti a plettro. Non ci sembra il caso di fare nomi e polemizzare. Semplicemente analizziamo i fatti. In massima parte le canzoni del cosiddetto periodo d’oro, 1880-1910, furono dedicate a tenori e presentate in prima esecuzione da tenori quali Fernando De Lucia, Francesco Daddi, Diego Giannini, Enrico Caruso, Mario Massa, Giuseppe Godono, Giuseppe Anselmi… E’ ben noto il ruolo di massima importanza che ebbe Caruso, ponendosi come prototipo per molti tenori successivi. E ricordiamo che a De Lucia furono dedicate molte canzoni e che o stesso Mario Costa è stato un tenore leggero. Per cui non sorprenda che, riguardo a molte canzoni del “Periodo d’oro”, le mie scelte comprendono prevalentemente tenori.
Era de maggio è la più felice tra le “serenate felici” e come tale andrebbe cantata. La primavera, il risveglio della natura, lo sbocciare delle rose, l’amata che ritorna…fresca era ll’aria e la canzone dolce. Quindi leggerezza, dolcezza, allegria. Lo sparito indica “allegro”. Però spesso i cantanti ne fanno un dramma, fraseggiano con tensione, rallentano il tempo, scuriscono il timbro, laddove occorre una luce solare. Esistono molte registrazioni, anche strumentali (ricordiamo una ben fatta da Daniele Sepe, che affida la melodia a un abilissimo fisarmonicista), jazzistiche, finanche una improvvisazione, raffinatissima e suggestiva, del pianista classico Roberto Piana.
Qui la scelta considera solo le versioni vocali, con l’intenzione di mostrare la grande diversità di approcci interpretativi avutosi col passo del tempo, con i cambi di gusto e l’avvento di nuove forme musicali. E ció avviene solo con melodie che immettono radici nell’incosciente collettivo, melodie esenti dalla caducità, rinascendo continuamente rivestite di nuove armonie, segnate da altri ritmi, evocatrici di altre atmosfere. Certo si potrebbe dire che il sentire degli autori sia tradito. Ma non è giusto pensare. Un interprete come De Lucia, che visse nel tempo di Di Giacomo e Costa, riflettere il gusto, il sentire di quel tempo. Un cantate attuale, napoletano o italiano o di altre nazionalitá, un jazzista cresciuto con i suoni di fine Novecento, o un tenore lirico esprimeranno il sentire, il gusto, le contraddizioni, le problematiche dei nostri giorni, oltre a essere condizionati dalle loro rispettive culture e formazioni musicali . I paesaggi cambiano, continuamente, si ampliano, si restringono, s’incupiscono, s’illuminano con colori cangianti, d’infinite sfumature. Questa è una bellezza della vita.
Fernando de Lucia (1909)
Incisa nel 1909 da un De Lucia incline a un’agogica spinta, rallentati che alterano ritmo, note filate ad libitum, Andamento alquanto lento. Resta comunque una interpretazione di portata storica. I tre minuti delle registrazioni meccaniche permettono al tenore di cantare solo le prime quattro strofe, come dire mezza canzone.
Tito Schipa
Qui Schipa è un po’ troppo enfatico e la tessitura alta gli pone qualche problema, però è sempre Schipa e merita d’essere ascoltato. L’andamento si avvicina a quello ideale.
Giuseppe Di Stefano 1965
Ecco il tempo “allegro, un canto felice, estroverso, timbro ammaliante, fraseggio di bella musicalitá, finale troppo plateale alla maniera distefaniana, dizione migliorabile ma importa poco, versione notevole.
Roberto Murolo (1963-65)
Dizione perfetta, tempo un po’ lento, una certa monotonia ritmica e timbrica, velata tristezza, però è sempre Roberto Murolo: Maestro d’incantesimi.
Fausto Cigliano
Agogica più varia rispetto a Murolo, maggiore musicalità e cambi dinamici, chitarre che complicano un po’ le cose…ma resta una gran bella versione.
Franco Battiato (1999)
Ammirevole ii geniale Battiato, che rende tutta la magia di questo capolavoro con un fraseggio vario, delicato e pur espressivo, con tocchi di squisita musicalità.
Lerondinella
Versione dettata da una forte personalità e originalità che la distacca dal volere degli autori. Andamento molto lento e una tensione passionale accentuata da un vibrato pressoché continuo, tocchi melismatici, timbro che a tratti si scurisce assumendo una forte carica sensuale diluita in pianissimo che comunque conservano una la forte carica emozionale. Non certo rose e fiori. Amelia Rondinella è cantante che avvince.
Gianni Lamagna
Artista che sempre lascia il segno essendo dotato di un istinto musicale infallibile sempre sorretto de un tendere alla belleza sonora, al canto che dice e che incanta. Infatti calibra i “rallentando” di maniera che non suonano artificiosi o dettati da fini plateali. Pregevoli e innovativi arrangiamenti di Antonello Paliotti.
Suonano molto bene: Antonello Paliotti (chitarra), Nico Casu (tromba), Luciano Russo (clarinetto), Roberto Natullo (flauto), Maurizio Chiantone (contrabbasso).
Brunella Selo (2005)
Bella voce ben modulata, ammirevole il mantener il ritmo senza “rallentandi”: versione solare di grande pregio.
Maria Pia De Vito
Dotata jazzista, Maria De Vito illumina questa serenata di una luce nuova, creando atmosfere fatte di un pathos mirabilmente calibrato.
Noa 2011
Non si può omettere questa sensazionale versione della musicalissima cantante israeliana. Ritmo quasi giusto, ben sostenuto senza rallentamenti plateali, sottilezze timbriche e di fraseggio… molta bravura.
Sofia Avramidou, Dimitri Bokolishvili
Infine una sorprendente versione per voce e clarinetto. Musicista greca di solida preparazione accademica, compositrice, pianista, cantante capace di emozionare al sommo grado con momenti di straordinaria forza evocatrice. E non mancano finezze musicali vocali e strumentali. Certo Mario Costa avrebbe disapprovato; non chi scrive, sempre aperto al fare sperimentale, all’apertura di nuovi orizzonti, alla libera creatività, se sorretta da una una vera intelligenza musicale aliena al mercimonio.