Fernando De Lucia: grandissimo tenore di grazia, quasi dimenticato.
(Napoli 11 ottobre 1860 – 21 febbraio 1925)
È stato tra i più importanti tenori della storia e attualmente tra i più misconosciuti. Anni fa tenni per conto dell’università di Salamanca un seminario su Enrico Caruso contrapposto a Miguel Fleta. Seminario diretto a giovani cantanti lirici. C’erano il biografo di Fleta, il critico musicale del Pais e altri esperti di musica. Quando proposi, a inizio del mio intervento, un’analisi dell’interpretazione di un brano in sequenza De Lucia-Caruso-Fleta, di fronte al canto del primo vidi facce sbalordite. Nessuno in sala conosceva De Lucia, nemmeno il nome. Si finì col prolungare molto la mia master class per ascoltare altre interpretazioni de sommo tenore napoletano e analizzarne la vocalità. Mi chiesero il cd di De Lucia e il giorno dopo Radio España mise in onda una ora di programma sulla scoperta di un fenomenale tenore di grazia.
Ancora c’è da fare giustizia in merito a Fernando De Lucia. L’unica biografia esistente è in inglese firmata da Michael Henstock e nemmeno tradotta in italiano. Una vergogna. E per passeggiare in una piazza dedicata al tenore napoletano bisogna andare a Roma. A Napoli solo una strada decentrata senza neppure l’indicazione col nome del cantante. Doppia vergogna.
Con le molte registrazioni di Fernando De Lucia abbiamo ampia prova di come cantava un tenore di grazia della fine dell’Ottocento. Libertà ritmica e di fraseggio, rallentamenti, soste ad libitum per piazzare note filate (le sue il De Lucia le chiamava “lacreme”), il vibrato stretto che i francesi definirono chevrorant, erano nella prassi dell’epoca. De Lucia aggiunge l’intonazione a volte approssimativa sulla quale sorvola olimpicamente e la scelta di andamenti a volte lentissimi. Però qui non si tratta di fare archeologia interpretativa. L’ascolto del De Lucia è ancor oggi esaltante, per la bellezza del timbro scuro e corposo ed insieme morbido e dolce, la capacità di cantare “legato” con suoni nel registro medio assai intensi, acuti luminosi, smorzature strepitose e soprattutto il forte pathos nei brani drammatici, tristi, nostalgici. E memorabili restano le “filature”, note tenute a lungo. De Lucia le studiava in presenza del suo cameriere Enrico, innamorato della voce del padrone. “Errì diceva De Lucia, “siente sta lacrema”. E il cameriere in estasi: “Che lacrema, commendato’, che lacrema.”
Qui una scelta di interpretazioni considerando solo la canzone napoletana. Interpretazioni memorabili, di massima importanza, tutte di riferimento assoluto. Cosí cantava canzoni un grandissimo tenore lirico al tempo della cosiddetta «epoca d’oro della canzone napoletana»:
‘Nu mazzo de sciure
( rielaborazione di Vincenzo De Meglio – altra fonte: Teodoro Cottrau)
Unica incisione esistente, a parte una moderna di Tommaso Maione. Bella canzone da riprendere e riproporre. Fernando De Lucia la canta di par suo, secondo la prassi un po’ improvvisatoria del tempo.
Napulitanata, 1884
(Salvatore Di Giacomo – Pasquale Mario Costa)
Incisione del 1902. Tempo lento, dizione incisiva, vibrato stretto, libertà ritmica, timbro brunito, passione e tristezza, filati stupendi. Versione di riferimento e inizio della storia dell’interpretazione di questo capolavoro assoluto che vedrà protagonisti Tito Schipa tra i cantanti d’opera e Sergio Bruni, Mario Abbate, Gianni Lamagna, Lina Sastri tra quelli mal definiti “leggeri” e squisitamente napoletani.
Era de maggio, 1885
( Salvatore Di Giacomo – Pasquale Mario Costa)
Incisa nel 1909 da un De Lucia incline a un’agogica spinta, rallentati che alterano ritmo, note filate ad libitum. Resta comunque un capolavoro interpretativo il primo nel tempo. Altri ne verranno facendo brillare questa meravigliosa canzone partendo da Tito Schipa tra i tenori per finire con Gianni Lamagna con la sua personale visione di cantante non lirico (nel senso di non cantare opere di Verdi o Puccini), ma lirico nell’espressione puramente napoletana.
‘O munasterio, 1887
(Salvatore Di Giacomo- Pasquale Mario Costa)
Fernando De Lucia in una delle più impressionanti interpretazioni di canzoni napoletane in assoluto.
Fraseggio del consumato tenore d’opera, una tensione estrema che quasi duole per il senso drammatico
esasperato al massimo. Versione che non ammette paragoni. Meglio fare tutt’altra cosa come ciò che propone Enzo Moscato in duetto con sax di Runo Zurzolo.
Nun me guardate cchiù!…, 1905
(Ferdinando Russo – Salvatore Gambardella)
Bella canzone dimenticata registrata dal De Lucia nel 1917, quindi all’età di 57 anni quando gli acuti avevano perduto un poco lo smalto, la lucentezza, stacca un tempo estremamente lento (si ascolti Vittorio Parisi per valutare la grande differenza), un tempo che gli permette esprimere una tensione emotiva fortissima, impressionante e una tristezza infinita.
‘A surrentina, 1905
(Giambattista ed Ernesto De Curtis)
De Lucia rinuncia a fare il tenore (come non fanno Gabriele Vanorio, Enzo De Muro-Lomanto e Francesco Albanese) e sceglie un anche questa volta un andamento lento, colore vocale scuro, corposo, canto a mezza voce squisitamente estatico, nostalgico, velato di tristezza. Un vero momento di grazia del tenore di grazia per eccellenza.
Canta pe mme!…, 1909
(Libero Bovio-Ernesto De Curtis)
Incisa nel 1911 da un De Lucia, estatico, dall’andamento lento, introverso e commovente. Nello stesso anno appare l’interpretazione portentosa, irruente, travolgente di Enrico Caruso, forse insuperato nonostante la marea di tenori successivi.
Voce ‘e notte, 1904
(Eduardo Nicolardi-Ernesto De Curtis)
L’andamento lento e il vibrato molto accentato, il timbro scuro rendono questa canzone dolorosa all’estremo.
Si chiagnere me siente…, 1907
(Libero Bovio – Ernesto Murolo – Salvatore Gambardella)
Triste e bella canzone ormai dimenticata. Ideale per le corde vocali e la sensibilità di un tenore che in frangenti del genere non teme confronti. La tensione espressiva è costante e l’uso della voce a tratti quasi strumentale.