Mario Abbate
Mario Abbate (all’anagrafe Salvatore Abate, Napoli, 8 agosto del 1927 – Napoli, 6 agosto del 1981), era un ragazzino quando entró come cantante e attore nella compagnia Cafiero e Fumo. Accumulò esperienza e presto divenne un cantante straordinario, come ebbe a dire Beniamino Maggio: «è un interprete completo, passa da Indifferentemente a Anema e core, da Papele ‘O marenaro, a Brava gente (canzone in lingua italiana), da Malafemmena a Suonno a Marechiaro, da Accussì a Sole malato con la stessa intensità interpretativa…”
Aveva 19 anni quando a Palermo, nel 1948, al Teatro Biondo, Nino Taranto lo spinse in scena senza prove per valutarne il potenziale artistico. Abbate cantò Quanno tramonta ‘o sole e fu un trionfo: Taranto ebbe a dire, “…nun ‘e cantante e basta, è interprete…”.
Quindi un successo continuo con dischi venduti a migliaia e migliaia, ed anche le mille ingiustizie che ricevette a Napoli, soprattutto ai Festivals della canzone napoletana, tristemente famosi per gli imbrogli e malefatte degli organizzatori. Mario Abbate non aveva santi in paradiso, ne’ tessera di un partito politico, era un gran signore che aveva basato la sua vita su un’etica impeccabile; era il suo cantare l’unico potere che aveva.
Non temeva niente e nessuno, come dimostra il clamoroso gesto alla Mostra d’Oltremare: è in programma la Piedigrotta 1973 Le nuove canzoni di Napoli. Aldo Bovio, direttore del Mattino, giornale patrocinatore dell’evento, aveva escluso Abbate, cosa del tutto inaccettabile. Racconta il figlio Mario junior che il giorno dell’evento Mario sembrava un leone in gabbia. Non poteva essere altrimenti per un nato sotto il segno del leone, e che aveva quindi cuore e coraggio da vendere. E decise di bloccare la diretta della Rai occupando il pullman della regia audiovisiva; il leone non lottò per i tre minuti o quattro minuti di diretta televisiva che gli erano stati negati, lottò per la giustizia, difese la sua dignità.
Dignità, bontà, un fare composto, elegante, garbato, la capacità di stringere amicizie vere con i colleghi stanno alla base del carattere di quest’uomo mite e forte. La voce solare, d’una purezza cristallina, priva di asprezze, non potente però duttile, vellutata, ideale per cesellare le melodie di maniera da impreziosirle al sommo rado. Evita il vibrato stretto e gli andamenti molto mossi, usa vibrato per fini espressivi, a volte delicatamente accennato, altre quasi impercettibile mai per un facile effetto; non bela, canta e allarga i tempi per creare un’atmosfera quasi atemporale. In Napulitanata per esempio, canta a un tempo più vicino a quello di De Lucia, un tempo lento che sembra fermare i suoni in un’atmosfera incantata. E quando la canzone se ne beneficia, alterna in maniera opportuna il registro alto e quello basso, come avviene magistralmente in Zappatore, versione opportunamente non truculenta (il protagonista è un contadino, non un guappo o un prepotente) che si pone di riferimento accanto a quella di Pasquariello. Altri punti forti della sua arte canora erano la gamma dinamica con la opportuna calibratura del piano, mezzo-forte e forte, e una naturale abilità di cantare in maschera senza timbri nasali e senza suoni ingolati. Una voce che sgorga naturalmente e si espande, e si eleva mossa da un cuore generoso, e commuove. Una voce e uno stile fatti per la canzone antica, classica, nostalgica, amorosa, per le serenate e le barcarole delineate con grazia, delicatezza. Anche nel repertorio “di giacca” poteva dire la sua, e in un certo modo nobilitò la sceneggiata.
Ovviamente chi incide oltre 2000 dischi non lascia 2000 capolavori, però elevato e il numero di canzoni interpretate raggiungendo l’eccellenza, come: La cammesella, Catarí, Luna nova, Voce ‘e notte, ‘A sirena, ‘Ncoppa all’onna, Dicitencello vuie, Autunno, Luna caprese, Sona chitarra, Anema e core, Reginella, ‘O marenaro, Munasterio ‘e Santa Chiara, Sciummo, Ammore amaro, Catena, Indifferentemente…
Mario Abbate se n’è andato troppo presto, lasciando un vuoto che ormai nemmeno si nota con la caduta di gusto, la incultura dilagante, la mercificazione generalizzata, la volgarità… Ascoltare i suoi dischi ci permette un tuffo indietro riportandoci nel cuore di una Napoli ormai svanita quasi del tutto.
La scelta d’ interpretazioni è limitata anche per motivi di spazio. Molte altre canzoni meriterebbero di stare in questa lista. Va tenuto in conto che Mario Abbate canta sempre con molta cura, il livello è sempre ottimo o eccellente quando la qualità di testo e musica lo permettono, e quando non lo permettono il cantante fa di tutto affinché il risultato finale sia almeno dignitoso.
Cortometraggio «Sosta d’eroi”
1933
Documento storico. Salvatore Abate all’età di nove anni. Chiaramente bambino prodigio che lascia prevedere un futuro di grande cantante. Voce luminosa e ben modulata. Sorprendente!
Quanno tramonta ‘o sole!..
(Ferdinando Russo – Salvatore Gambardella, 1911)
Mario Abbate ventinovenne nel film “Guaglione” del 1956. È già interprete di rilievo con voce sempre volando in zone acute, andamento moderato e tendenza a un’atmosfera estatica.
Catarì
(Salvatore Di Giacomo – Pasquale Mario Costa, 1892)
Classico interpretato con delicatezza, grande finezza, dinamica senza giungere a un vero forte, arrangiamento vagamente arabeggiante. Da antologia.
Voce ‘e notte
(Eduardo Nicolardi – Ernesto De Curtis, 1904)
Interpretazione marcata da grande finezza di fraseggio, di spicco tra quelle registrate negli Sessanta Settanta (cantanti d’opera a parte). Poi giungeranno Marco Beasley con l’Accordone (2003) e Gianni Lamagna (2006) ad aprire orizzonti interpretativi nuovi.
Zappatore
(Libero Bovio- Ferdinando Albano, 1929)
Di questa pregevole interpretazione abbiamo accennato nell’introduzione. L’alternanza di parti recitate e parti cantante rende il brano più espressivo, convincente. Oscurata dalla prorompente versione di Mario Merola, questa di Abbate è passata un po’ inosservata, ingiustamente.
Malafemmena
(Totò, 1951)
Della più bella e struggente canzone del principe Antonio De Curtis, Abbate fu il primo interprete e resta il primo,
Sciummo
(Enzo Bonagura- Carlo Concina, 1952)
La favolosa interpretazione di Sergio Bruni secondo molti non ammette confronti. Ebbene non facciano confronti e ascoltiamo Mario Abbate per quello che è, Maestro di alchimie delicate e atmosfere incantate. Due diverse e meravigliose interpretazioni.
Luna caprese
(Augusto Cesareo- Luigi Ricciardi, 1953)
Qui Peppino di Capri docet, ha fatto storia. La versione di Mario Abbate è realizzata, come al solito su un andamento moderato, strumenti mai invadenti, dinamica che non oltrepassa il mezzo forte e canto con melismi sempre sobri e accurati. Voce un poco più incentrata sulla zona media del solito, più scura, brunita, il che va molto bene.
T’aspetto ‘e Nove
(Enzo Bonagura-Renato Carosone, 1956)
Bella dimenticata canzone da rivalutare. Testo di grande finezza nell’abbordare la tristezza. Nostalgica con tocco di modernità la musica di Renato Carosone.
‘E Stelle Cadente
(Antonio Amurri – Franco Pisano, 1960)
Fine canzone, testo interessante, ancor più l’orchestrazione di Carlo Esposito. Abbate si conferma splendido ricamatore di melodie. Troppa finezza: infatti la canzone non giunse nemmeno alla finale, vinta da Serenata a Margellina, canzone non memorabile e resa tale dalla espressiva interpretazione di Sergio Bruni, che la cantò nelle prime due serate, l’altra interprete era Flo Sandons, ma nella serata finale ebbe un diverbio con Claudio Villa e con gli organizzatori e non si presentó in scena. Al suo posto Ruggero Cori, personaggio da night club più che di palcoscenico di teatro.
Indifferentemente
(Umberto Martucci – Salvatore Mazzocco, 1963)
Canzone ormai classica presentata da Mario Abbate e Mario Trevi all’undicesimo Festival della Canzone Napoletana. Giunse seconda, vinse una porcheriola chiamata Jammo Ja’. Fu un’ingiustizia clamorosa ed i vincitori morali di quel festival sono i due Mario. Trevi ha venduto più dischi grazie al suo canto più estroverso e all’arrangiamento tendente allo strappalacrime. Come sempre la voce di Abbate è vellutata, suadente e pur incisiva. Questa canzone è stata ripresa da molti importanti cantanti napoletani ed anche da stelle non partenopee come Mina e Amii Stewart.
‘Nnammurata busciarda,
(Alfonso Chiarazzo –Renato Ruocco, 1969)
Festival di Napoli, cinque minuti applausi per un Mario Abbate fine cesellatore che nobilita una canzone non memorabile, interpretazione a parte. La canzone si piazzò solo al sesto posto con diciassette voti mentre vinse Preghiera a ‘na mamma con 58 voti, altra mediocre canzone che fece colpo per la struggente interpretazione di Mirna Doris. Senza i soliti imbrogli festivalieri probabilmente Abbate avrebbe avuto un consenso della giuria certamente migliore.