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Oggi 1862: Claude Debussy. La sinuosità dell’arabesco

22 agosto, 2020Compositores, CumpleañosGianni Cesarini

Debussy e la sinuosità dell’arabesco

Di Alessandra Cesarini 

    Debussy contribuì notevolmente alle innovazioni musicali caratteristiche della sua epoca. Nato il 22 agosto 1862 a Saint Germaine-en-Laye, sin dai primi anni del Conservatorio si mostrò refrattario alle tradizionali regole dell’armonia; il giovane Claude aveva intenzione di perseguire un suo ideale estetico, rivoluzionando il sistema musicale con l’uso di intervalli dissonanti, di accordi non legati tra loro e scale pentatoniche ed esatonali, dando vita ad un nuovo stile compositivo. Le scale per toni interi e le tonalità lontane, producevano atmosfere di sospensione; l’orecchio, in assenza del semitono, restava in uno stato d’indecisione, dando spazio all’immaginazione: per Debussy «la musica è una cosa libera, che è dappertutto…ma soprattutto non è sulla carta». Altra caratteristica del compositore riguardava l’attenzione al timbro degli strumenti che condizionava i valori formali: ogni strumento ha una voce, suscitando immagini nella mente dell’ascoltatore. 

   Per questo motivo, da una parte, Debussy snellì l’orchestra dai raddoppiamenti e abbinamenti di strumenti, dall’altra, ne introdusse di nuovi come la celesta, le campane, le arpe, la cassa rullante, il tamburello, le castagnette, i cimbali antichi, per richiamare con il loro timbro inconfondibile un luogo o un’atmosfera precisa. «I musicisti non sanno più scomporre il suono, darlo puro, d’altronde, abbiamo imparato troppo a mescolare i timbri. In questo Wagner è andato molto lontano. Egli lega, per esempio, la maggior parte degli strumenti a due a due o a tre a tre. Il colmo del genere è Strauss, che ha buttato tutto all’aria. Unisce il trombone al flauto. Invece, io mi sforzo di conservare ad ogni timbro la sua purezza, di metterlo al suo vero posto. L’orchestra di Strauss è un’orchestra cocktail…” 

    Debussy si lasciò però affascinare dall’opera del compositore bavarese Salomé, che definì come uno sviluppo di “colori ritmici”. A colpire il musicista francese fu il superamento della concezione “architettonica” con una più “pittorica” della composizione che ricordava un arabesco, uno studio sulle forme pure, sui colori e sulla luce. A legare i due compositori, sebbene in maniera del tutto relativa, era il fascino esercitato su entrambi dal “decorativismo” tipico degli anni dell’Art Nouveau. 

Parigi ne era la capitale, e molti anni prima della presentazione della Salome (1905), la città natale di Strauss era stata la culla della Sezession di Monaco (1892), movimento che Strauss apprezzava e di cui frequentava i protagonisti (famoso è il ritratto che  Max Liebermann dedicherà a Strauss nel 1918). La Secessione di Monaco è preludio dello Jugendstil: una corrente di arte che introduce il gusto del decorativo negli oggetti d’uso quotidiano, e che rompe la rigorosa  linearità del design precedente. Monaco, nel corso di questa rivoluzione, accoglie anche numerosi artisti francesi. L’arabesco, l’ornato prezioso, la linea sinuosa, sono tratti che si ritrovano negli allestimenti scenici sia di Debussy che di Strauss. L’opera diventa autonoma scollegandosi, senza l’obbligo di procedere secondo regole prestabilite, dalla narrazione di una storia: l’arabesco è esaltazione di autosufficienza dell’opera d’arte in sé. 

    Le rivoluzioni in atto all’epoca nel mondo dell’arte visiva, confermano che Debussy abbandonò una concezione lineare del tempo, per scegliere forme più sinuose riconducibili all’arabesco. Lo stesso compositore, infatti, intravede nella forma classica “un’eleganza rettilinea” (quella della forma-sonata, con il suo sviluppo preordinato e un percorso inesorabile), le cui architetture sono ormai “una filosofia divenuta caduca”. Osservando come dopo Beethoven la sinfonia avesse perso ogni vitalità, il compositore sosteneva che anche la Nona fosse nient’altro che “un desiderio magnifico di ampliare, di liberare le forme abituali”. 

   Jankélévitch paragona alcune idee melodiche di Debussy ad un fenomeno botanico, il geotropismo ovvero il condizionamento della forza di gravità sul percorso di foglie e radici; si parla di geotropismo positivo e negativo, l’uno usato per indicare l’attrazione verso un centro di gravità, l’altro indica l’inclinazione degli steli a crescere allontanandosi dal centro della terra. (Lo scrittore  confronta questo fenomeno con il significato simbolico delle decorazioni floreali e vegetali dell’Art Nouveau e il rapporto con le linee ondulanti della chioma femminile). Gli arabeschi di Debussy riecheggerebbero questo fenomeno: in salita, producendo un senso di sradicamento dato dalla contemporaneità di accordi perfetti, ognuno dei quali è però relativo ad una tonalità differente, sottraendo continuità ad un discorso musicale logico. In discesa, l’arabesco debussiano simboleggia un sentimento di paura e di fuga, di abbandono quasi sensuale; Debussy credeva nella forza magica dell’arabesco, simbolo carico di mistero e di charme. 

   Cézanne affermò «je travaille sur le motif»: dove il motivo è concepito come un disegno simbolico e come prosegua per assumere una forma, è un problema irrisolvibile, quasi segreto al punto che qualsiasi analisi formale è destinata all’insuccesso. Il fascino provato per la forma orientaleggiante era lo stesso che risvegliò in Debussy l’ascolto delle musiche indonesiane di Bali e Giava. In queste isole si utilizzava un’armonia concepita su due scale: pelog e slendro, entrambe pentatoniche, la prima (femminile) presenta una terza maggiore, mentre la seconda (maschile) una terza minore. Gli strumenti usati sono il gong, metallofoni e xilofoni, in assenza di modulazioni la costruzione melodica si rivela molto semplice, mentre grande importanza è attribuita al timbro. Come abbiamo visto, Debussy contrappone all’eleganza rettilinea della forma-sonata l’arabesco musicale o piuttosto quel principio dell’ornamento che è la base di tutti i tipi di arte. Il decorativismo simboleggia una sinuosità che offre una rappresentazione originale del tempo, quasi arrotolato su se stesso, decisamente non più rettilineo.

     Il musicista dichiarò, dopo la presentazione del Prélude à l’Après-midi d’un faune: «Rassicuratevi, l’opera è proprio costruita; ma invano cercherete le colonne, io infatti le ho tolte”. 

Qui la versione animata di Bruno Bozzetto “Allegro non troppo”:

In Debussy la musica sorge dal silenzio, come a volerlo provvisoriamente interrompere o sospendere. L’Isola gioiosa, in quanto isola sonora su un mare di silenzio, isola di canti e risa e cimbali risonanti, non poteva essere che una chimera debussyana… 

Al pianoforte Samson Francois:

In Pelléas et Mélisande, più che una costruzione di vicende, si ha la creazione di atmosfere. La scena è dominata da gesti, espressioni, silenzi e si vede il dissolversi delle figure e delle situazioni. «Credo che non potrò mai rinchiudere la mia musica in uno stampo troppo preciso”

Nell’interpretazione di Claudio Abbado:

Ed infine ascoltiamo L’Arabesque n.1 interpretato da Aldo Ciccolini:

Gianni Cesarini
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Gianni Cesarini Fotógrafo – Musicólogo – Periodista – Escritor - Naturópata - Ecologista - Maestro de Masaje Wukong - Maestro de Meditación Ze.

Desde adolescente rechacé totalmente el sistema escolar para formarme esencialmente como autodidacta. Estudié, de manera profunda, filosofía, literatura, artes plásticas, siendo mi...

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