

Palummella, zompa e vola
Gioiello del genere degli intermediari amorosi, la settecentesca Palummella, zompa e vola è d’autore ignoto. Secondo alcuni ispirata dalla cadenza, da un’aria del personaggio di Brunetta dall’opera buffa «La Molinarella» di Niccolò Piccinni, andata in scena a Napoli nel 1766. Però l’unica aria cantata da Brunetta nell’opera è «Vuje sapite» non ha alcuna relazione con la canzone. Forse è l’ aria dell’opera «Comme da lo molino», Atto I, scena II, ad aver generato la canzone popolare a partire dai testi e dalla musica. Ed é da verificare la possibile origine della melodia da «La molinarella» di Gennaro Astarita rappresentata nel 1783 a Ravenna nel Teatro Municipale L’omonimia dell’opera potrebbe, quindi, esser sfuggita a quanti hanno riportato la notizia e aver generato un equivoco.
Si dice che la canzone, nel corso degli avvenimenti tra la fine del XVIII e la seconda metà del XIX secolo, abbia subito significative variazioni nel testo che le hanno conferito un carattere di canzone patriottica per gli esuli napoletani sia della Repubblica Partenopea, sia dei moti del 1820-1 e del 1848, sia della guerra civile scoppiata in alcune aree del Meridione in opposizione alla Unità d’Italia. Il testo poteva facilmente essere adattato alle canzoni degli esuli napoletani, essendo la farfalla simbolo di libertà. Il testo che attualmente viene cantato è attribuito senza prove a Domenico Bolognese. Fu ripreso da Teodoro Cottrau, il quale lo pubblicò nel 1873, rielaborandolo e riprendendo la melodia da «La molinarella» di Astarita. In ogni caso, i testi con allusioni satiriche e politiche precedenti il testo attuale sono andati persi.
È una canzone in cui l’innamorato invita una farfalla a portare all’amata il saluto e, dopo averle fatto festa, di baciarla. Un testo amoroso e poetico, in cui si evidenzia l’impossibilità dell’amante a raggiungere l’amata. Dolce canzone, tra le più leggiadre del repertorio napoletano pre-ottocentesco, che fu spesso cantata da Pulcinella che la dedicava alla sua Colombina. Sara’ ripresa dal Petito che porterà in scena la commedia intitolata appunto ”Palummella». Nel 1954 Eduardo De Filippo, l’ultimo grande interprete della maschera napoletana, la porto’ in scena per la inaugurazione del ristrutturato Teatro S. Ferdinando.
Qui sette interpretazioni che consideriamo significative:
Fernando De Lucia
Incisa a Napoli dalla Phonotype l’11 settembre 1921 durante l’ultimo set di registrazioni del tenore ormai sessantunenne. Probabilmente questa canzone andrebbe cantata a un tempo un più rapido e un accento più etereo però questa versione emoziona al sommo grado. É da pelle d’oca. Un canto d’una intensità estrema che tocca il cuore, dal fraseggio libero e anche per questo ammaliante. Prezioso il “filato” in diminuendo al minuto 1:15. Versione di riferimento.
Roberto Murolo
Dolcemente malinconia con assenza di cambi dinamica è versione mirabilmente detta più che cantata. Alla chitarra il sobrio e attento Eduardo Caliendo.
Fausto Cigliano
Ecco l’andamento ideale, il fraseggio garbato, accenti giusti, chitarre meravigliose. Stupenda lezione di stile che ci porta alla leggiadria del volo di farfalla.
Nuova Compagnia di Canto Popolare
Portentosa versione dal tono rivoltoso, come inno dei napoletani contro l’oppressore piemontese: suoni marziali, voci di straordinaria. tagliente espressività. Giovanni Mauriello e Fausta si spingono al limite delle loro eccezionali possibilità.
Gianni Lamagna
Interessante rielaborazione di Cottrau. Artista colto e raffinato, Gianni Lamagna trasmette sempre emozioni genuine, scaturenti da un cuore nobile. E’ sempre un’esperienza emozionante ascoltarlo.
Luciano Pavarotti
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Giancarlo Chiaramello. Interpretazione lussuosa, famosa e non priva di fascino soprattutto per la bellezza della voce, però di taglio troppo tenorile dove non si delinea una visione canzonettistica e nemmeno un contesto squisitamente lirico.
Letizia Calandra
Suggestiva versione, dal pathos intenso, di una originalità interpretativa che lascia il segno. La splendida voce di soprano tesse un canto che a tratti sfiora il fare belliniano, e proietta la canzone in uno spazio tra le stelle, lontano da fare popolareggiante. L’arrangiamento non è da meno e non privo di qualche lampo d’audacia.