Salvatore Gambardella
(Napoli, 17 novembre 1871 – 29 dicembre 1913)
“Vi ringrazio di tutto cuore di quello che fate per me e mi auguro che non trascurerete mai le mie canzoni, nel vostro e nel mio interesse. Giustamente e con ragione mi dite che mi hanno trascurato, cosa volete fare è una vera anarchia. Vi pare voi che siete il primo editore della canzone e conoscete esattamente i veri canzonieri di cifra e giustamente avete sempre scritturato a mensile fisso tre o quattro nomi. Da queste mie parole potete rilevare tutto ciò che voglio dirvi. Vi fo sapere che passo meglio, ma appena sarò interamente guarito darò un bel concerto sotto la mia direzione senza grancasse e senza tromboni che è una vera profanazione per la canzone popolare, il programma sarà di vecchie e nuove canzoni, con la speranza di un articolo, firmato da voi, sulla mia musica. Verrei personalmente a ringraziarvi ma sono in convalescenza, ma se per vostro piacere vi trovate a fare una passeggiata a Posillipo sarebbe per me una gran gioia avere una vostra gradita visita.”
Salvatore Gambardella, dicembre 1913: così si esprimeva il musicista, già ammalato, in una lettera inviata al suo principale editore, Ferdinando Bideri.
Salvatore Gambardella nacque nel popolare quartiere di Montecalvario, figlio di un umile bottegaio. Poiché era povero e divenuto orfano di padre, dovette ben presto piegarsi al lavoro: fu messo nella bottega di Vincenzo Di Chiara, negoziante di ferro in piazza del Carmine. Di Chiara alternava alle cure del commercio la passione – o la malattia? – per le canzoni ed era già noto per alcune sue colorite tarantelle. I primi quattrini – guadagno di più e più settimane di lavoro – furono spesi dal ragazzo nell’acquisto di un organetto. Si era verso l’89, e nelle case e nelle strade risuonavano le note della dolce Malia di Tosti. Salvatore tornava a casa stanco – una povera casa col suo lumicino ad olio dinanzi alla Madonna delle Sette Spade – ma dopo il piatto di minestra canticchiava con accompagnamento d’organetto “Cosa c’era in quel fior che m’hai dato”. La madre gli sedeva accanto.
Aniello Costagliola lo definì: “un anarchico errante per i sentieri della poesia, come l’usignolo: che ignora pur l’esistenza delle sette note”. Infatti Gambardella non conosceva il pentagramma e si racconta che fischiava le melodie che un musicista (spesso Achille Longo) trascriveva, però noi siamo propensi a credere che più che il fischio, usasse il mandolino, che aveva appreso suonare più che bene. Tra le sue canzoni più sorprendenti è Furturella, una composizione degna dei più illustri e preparati musicisti con una scala cromatica discendente che sorprende anche un genio del calibro di Giacomo Puccini. Questi dopo averla ascoltata, canticchiata da Ernesto Murolo nella sede della casa editrice Ricordi, si mostrò sorpreso dal fatto che fosse opera di un «orecchiante», tanto da esclamare «la canzone ha una progressione musicale discendente degna del più grande musicista classico» e in seguito regaló un pianoforte a Gambardella affinché apprendesse la musica. Anche Pietro Mascagni ammirò questa canzone al punto d’affermare: «Nessun musicista al mondo ha risolto in maniera tanto ardita una scala semitonale come l’incolto popolano che ha fatto il ritornello di Furturella».
L’uso di alterazioni cromatiche è frequente nelle canzoni di Gambardella, come quelle al basso di Serenatella nera (1903) brano in forma di “aria” e una struttura saldamente legata agli stilemi delle più pura canzone napoletana (battute regolari, alternanza di modo minore e maggiore, regolarità formale). Più tardi, a partire del 1907, Gambardella sembra essere influenzato dalla musica nord-americana sul piano formale, forma canzone AABA, e melodico con presenza di frasi ponte, e soprattutto con con l’uso del sincopato. Non sappiamo come Gambardella avesse accesso alla musica americana, che a quel tempo non giungeva facilmente a Napoli. O forse era un genio capace d’arrivare autonomamente a tali risultati.
Ha composto oltre 300 canzoni, tra queste:
O marenariello, versi di Diodato Del Gaizo poi rivisti da Gennaro Ottaviano, 1893
Furturella, versi di Pasquale Cinquegrana, 1894
A funtanella, versi di versi Aniello Califano, 1894
‘O primmo amore, versi di Cinquegrana, 1894
O surdatello, versi di Aniello Califano, 1894
‘E trezze ‘e Carulina, versi di Salvatore Di Giacomo,1895
Raggio ‘e sole, versi di Ferdinando Russo, 1895
Tarantella ntussecosa, versi di Roberto Bracco, 1895
‘A voce e primmavera, versi di Diodato Del Gaizo, 1896
‘O pizzaiuolo nuovo, versi di Giovanni Capurro, 1896
Campagnola, versi di Salvatore Di Giacomo, 1896
‘A canzone d’ennammurate, versi di Aniello Califano, 1897
‘A sciantosa, versi di Giovanni Capurro, 1897
Canzone ‘e sentimento, idem 1897
Don Carluccio, versi di Salvatore Di Giacomo, 1897
Pirichiè pirichì pirichià, versi di Aniello Califano, 1898
Don Ciccillo, versi di Aniello Califano, 1901
Nannì Nannì, versi di Vittorio Fortunato Guarino, 1901
Comme a na fronna (Id., 1902)
Madama Chichierchia, versi di Aniello Califano, 1903
Serenatella nera, versi di Ferdinando Russo – E. Di Capua, 1903
Pusilleco addiruso, versi di Ernesto Murolo, 1904
Quanno mammeta nun ce sta! versi di Giovanni Capurro, 1904
Serenata a Maria, versi di Aniello Califano, 1904
Lili Kangy, versi di Giovanni Capurro, 1905
Nun me guardate cchiù, versi di Ferdinando Russo, 1905
Tarantella de vase, versi di Raffaele Ferraro-Correra, 1905
Comme facette mammeta, versi di Giuseppe Capaldo,1906
O surdato napulitano, versi di Aniello Califano, 1906
Tu sola!, versi di Ferdinando Russo, 1906
Albergo ‘e Il’allegria, versi di Giuseppe Irace, 1907
Serenata a Surriento, versi di Aniello Califano, 1907
Si chiagnere me siente, versi di Libero Bovio e Ernesto Murolo, 1907
L’arte do sole,(versi di Giuseppe Capaldo, 1908
‘E sserene ‘e Marechiaro, versi A. Cinque, 1909
Nini Tirabusciò, versi di Aniello Califano, 1911
Quanno tramonta ‘o sole, versi di Ferdinando Russo, 1911
Qui alcuni ascolti fondamentali:
‘O Marenariello, 1893
Grandissimo successo internazionale, interpretato anche da molti tenori lirici di massima fama, crooners del calibro di Sinatra e Al Martino, questa meravigliosa barcarola è stata rivisitata in molti modi. Qui ci accontentiamo di riascoltarla nella versione di Vittorio Parisi, “classica” per noi napoletani.
Furturella, 1894
Forse la canzone più geniale di Gambardella, una esplosione di gioia e genialità, cantata da un Fausto Cigliano in stato di grazia.
‘E trezze ‘e Carulina, 1895
Non possiamo che scegliere il Maestro del cantare sulla parola con un dizione di precisione assoluta: Roberto Murolo.
Serenatella nera, 1903
Buon tempo di serenata, accompagnamento opportunamente discreto, il tenore Mario Massa scurisce al massimo il timbro e fraseggia evocando un tono nostalgico, dolente.
Lily Kangy, 1905
Miranda Martino, neo-sciantosa di straordinario talento che con la complicità di Ennio Morricone ci offre una versione fortemente popolareggiante e allo stesso tempo raffinatissima di questa deliziosa canzone.
Si chiagnere me siente, 1907
Fernando De Lucia sceglie come sua abitudine un andamento lentissimo, e scurisce ancor più la voce. L’atmosfera è tragica e la famosa “lacrima nella voce” del divino tenore qui incontra i versi e le note musicali adeguate affinché l’ascoltatore stenti a controllare la commozione e rompere in lacrime.
Quanno tramonta ‘o sole, 1911
Gennaro Pasquariello ricama questa canzone, creando una pietra miliare interpretativa che resterà modello inimitabile.