

Altra triste storia di “medicina”
A una signora nata a Gran Canaria cinquant’anni diagnosticano un cancro al seno e impongono il protocollo Big Pharma: bisturi, radio e chemio “terapia”. In un lampo di intelligenza la signora decide, nel tempo d’attesa, di provare una cura biologica con la guida de una terapeuta che vive e lavora a Lanzarote. Dopo un mese di dieta alcalina e gli opportuni integratori, del tumore non rimane traccia. Sparito. Normali anche i marcatori tumorali. Ciò è del tutto inaccettabile per certi geni in camice bianco immemori del giuramento ippocratico, per cui si conferma e attua l’intervento chirurgico e s’impone radioterapia e Tamoxifeno, quindi c’è lo sconto della chemio. Abbiamo da un lato un boia e dall’altro la vittima, vittima però consenziente perché terrorizzata e accerchiata da marito e parenti convinti che il cancro possa essere “curato” solo in ospedale. E già, il mondo pullula di persone curate di cancro in ospedale. Basta guardare intorno. Tutti salvi, vivi e vegeti!
Mala tempora currunt. Di cancro si muore perché c’è chi di cancro ci vive. Il cancro è ormai obbligatorio, la sua cura impossibile poiché affinché la guarigione vera sia possibile e necessario rimuovere barriere. E la prima barriera si chiama oncologia. E già, gli oncologi con i loro bisturi ben affilati, le ben lucrative e nefaste chemioterapie, e la radioterapia per sé stessa cancerogena. Oncologi, vil razza dannata.