Roberto De Simone e Raffaello Converso: L’armonia sperduta ritrovata
Più che armonia sperduta si potrebbe dire armonia al quadrato, per le complesse orchestrazioni dei brani dovute al Maestro Roberto De Simone. È un album per ascoltatori musicalmente colti, di gusto raffinato e grande apertura mentale. Un ampio ensemble di ottimi strumentisti sotto la bacchetta di Renato Piemontese sostiene e avvolge il canto di Raffaello Converso in un contesto inusuale per il ricco gioco di remakes, citazioni, interludi vocali con testi di altre canzoni incuneati tra le strofe della canzone principale. Echi di antiche canzoni napoletane, atmosfere del folk meridionale, reminiscenze jazzistiche, Bach, Pergolesi, Strawisky, Bartok, Weill e altro ancora incontriamo, brano dopo brano, in un continuum fatto di creatività che stimola al sommo grado l’ascoltatore. Raffaello Converso è figlio d’arte, il padre Pasquale fece parte del Trio Convers e poi si esibì come posteggiatore al Gambrinus. Raffaello ha studiato violino nel Conservatorio di San Pietro a Majella e suona anche il pianoforte, la chitarra e il mandolino. Dal padre ha appreso a cantare e suonare con una certa libertà e in questo lavoro mostra d’essere giunto a una libertà totale. Tutte le canzoni sono reinventate, canzoni classiche molto famose suonano in maniera che si stacca non poco dalla tradizione. Le sorprese sono continue.
Oggettivamente questo Cd è di un livello artistico globalmente eccellente. Soggettivamente mi si lasci dire che, per gusto e sensibilità, trovo molto meglio riuscite le canzoni con orchestrazioni di gusto retro rispetto a quelle proiettate in avanti: quindi mentre Munasterio è Santa Chiara, basata su atmosfere pergolesiane mi appare bellissima, meno felice è Palummella che parte con un citazione di Fenesta ca lucivi e poi tra le strofe appare un rapper creando un contrasto stridente, ovviamente voluto. Devo per dire di non nutrire simpatia alcuna per il rap. Sarà per la mia età avanzata.
Tra le interpretazioni più ammirevoli spicca quella di Core n’grato, con la voce molto ben modulata e misurata che snoda la melodia mentre il violoncello crea un tappeto armonico e ritmico squisitamente bachiano. E il trittico digiacomiano: Nu passatello spierzo, con musica di De Leva, bella canzone praticamente sconosciuta, la più ben nota Pianoforte ‘e notte e Canzona ‘e maggio, con musica di Costa, anch’essa una riscoperta, è di grande interesse culturale, molto godibile per il canto flessibile, misuratamente espressivo di Converso e le alchimie sonore create da De Simone.
Chiove è un altro punto forte di questo florilegio sonoro, mente in Dove sta Zazà? il clima diventa ancor più ilare per l’intromissione di ‘I quattro ciucci di Shelton Brooks, la reminiscenza iniziale di Oh Susanna e il drive jazzistico che incrementa la vitalità. Chiusura sorprendente del disco con Je so’ pazzo cantata con impeto e ironia sul ritmo della Tarantella del Gargano.
Ho già accennato all’inizio di questa breve recensione (si potrebbero scrivere pagine a pagine per analizzare e dire della grande portata di questo lavoro) che i 15 brani cantati e orchestrati con tanta originalità possono risultare sconcertanti per gli appassionati della canzone più conservatori. Ma ben venga anche la sperimentazione e l’innovazione quando si deve ad artisti del calibro di De Simone e Converso, capaci di una contaminazione di stili e forme musicali nella quale si perde la connotazione negativa del termine contaminazione per invitarci a dire che si tratta di incontro di stili e forme, che giunto a una armonica fusione, è traducibile in arricchimento.
Nu passariello spierzo»
Canzona ‘e maggio
Munasterio ‘e Santa Chiara
Core ’grato
Je so’ pazzo