Canto delle lavandaie del Vomero
Un mondo senza lavandaie, un mondo con poco vero lavoro, un mondo senza amore per la vita, con pochissima vera musica, con la cultura in via d’estinzione e quindi destinato a sparire. Da ragazzino, al tempo delle estati a casa dei nonni a Bagaladi (provincia di Reggio Calabria) m’ipnotizzava la visione delle lavandaie. Più tardi ne scrissi una poesia
Lavandaie
Un gran temporale d’estate.
Immenso serpente liquido il torrente.
Quando la furia s’appagò
lo raggiunsi
per camminare felice tra pietre e acqua
immerso in un acre profumo di terra viva.
Di repente un canto di donne
melodia una po’ araba un po’ calabrese
il ritmo marcato da lenzuola attorcigliate
battute sulle pietre,
come schiavi neri
marcando i loro tristi canti
a colpi di martello.
Però nella iridescente fiumara
di quasi nero c’erano soli i grandi pezzi di sapone
il meraviglioso sapone fatto con i resti delle olive
dopo la spremitura nei frantoi.
Le lenzuola di biancore abbagliante.
Tra la spuma, non così bianca come
la nivea pelle delle contadine,
qualcuna nuda fino alla cintura,
forti seni come marmo,
schiene michelangiolesche.
Quanta bellezza dio, in un lavoro
così umile e semplice.
Quanta armonia tra canto e colpi.
Più che lavoro, una festa della natura
acqua, spuma, biancore,
corde vocali vibrando di gioia
muscoli gonfi di vita.
Poi giunse la lavatrice.
Addio vigore, addio canti,
addio feste di acqua e sole.
A cambio, rumore, seni cadenti
biancheria non pulita ma
sbiancata, meglio dire imbiancata,
mare e fiumi avvelenati
Per una vita facile, dicono
per guadagnare tempo, dicono
e riempirlo con Prozac
la felicità in pillole.
Lo chiamano progresso.
E ancor oggi m’ipnotizza il Canto delle lavandaie del Vomero, che con Jesce sole, segnò l’alba della canzone in lingua napoletana. Questo è un dato certo, mentre un’esatta collocazione nel tempo di questo canto, di vago sapore di nenia, non è possibile. Secondo alcuni durante il XV secolo era cantato dal popolo napoletano per protestare contro la mancata ridistribuzione della terra promessa da Alfonso V D’Aragona. Infatti i fazzoletti di cui si parla sono gli appezzamenti che il potere si è tenuto per sé. Secondo altri sarebbe un canto di protesta contadina probabilmente del 1200, nato in zona di Antignano al Vomero. Il moccaturo (fazzoletto da naso) rappresenta il pezzo di terra promesso dal signore del tempo e mai assegnato. Molto probabilmente il Canto delle lavandaie del Vomero si originò nella Napoli medievale sveva. Secondo Roberto De Simone, le origini del canto devono essere fatte risalire al XII o XIII secolo; e si tratterebbe di un “contrasto” che le lavandaie napoletane intonavano per darsi il ritmo nel duro lavoro quotidiano al Vomero, allora una collina rurale non considerata nemmeno nella cerchia cittadina napoletana vera e propria. Quale che sia il periodo della sua origine, esiste comunque una testimonianza di eccezione: il canto fu udito, infatti, da Giovanni Boccaccio, che passò a Napoli tutta l’adolescenza (tra il 1327 e il 1340), e che ne parla in una sua lettera impressionato dalla sua bellezza.
Ecco il canto:
Tu m’aje prummise quatte muccatora
oje muccatora, oje muccatora!
Tu m’aje prummise quatte muccatora
oje muccatora, oje muccatora!
Io so’ benuto se, io so’ benuto
se me lo vuo’ dare,
me lo vuo’ dare!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
chillo ch’è ‘ncuollo a tte nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja!
Roberto Murolo
A rivelarlo a me e a tantissimi amanti della canzone partenopea fu Roberto Murolo con il primo disco della sua storica “Napoletana”. Magistrale interpretazione da fine dicitore, sobrio e di grande buon gusto.
SERGIO BRUNI
Sergio Bruni venne un po’ dopo con un’espressiva interpretazione di taglio molto più lirico, enfatizzando la melodia.
Nuova Compagnia di Canto Popolare
La splendida versione orchestrata da Roberto de Simone per la Nuova Compagnia di Canto Popolare conobbe grande fortuna e diffusione e contribuì non poco a spalancare ai giovani la finestra sul sorprendente patrimonio di canzoni antecedenti allo splendore dell’epoca digiacomiana.
Amalia Rodrigues
Con Amalia Rodrigues il canto si tinge di colore portoghese con echi dl fado.
Fiorenza Calogero (Dal Film Passione, 2010)
Un delizioso ed emozionate frammento che fa rivivere il canto nel film “Passione” diretto nel 2010 d da John Turturro.
Nataly Oryon
Bella e intensa voce d’una israeliana che ben conosce il canto napoletano. Sorprendente!
Bel Ayre:
Infine, Naples in the Word, una suggestiva versione il gruppo belga del soprano lirico Lieselot De Wilde a tratti forse troppo enfatica e di cui fa parte l’eccellente chitarrista jazz Peter Verhelst. Bello l’interludio centrale strumentale che vede protagonisti il violoncello, il clarinetto e il bandoneon.
Lieselot De Wilde, voice
Peter Verhelst, guitar & arrangement
Lode Vercampt, cello
Yves Peeters, percussion
Jean-Philippe Poncin, clarinet
Stijn Bettens, bandoneon