Francesco Albanese
Torre del Greco, 13 agosto 1912- Roma, 11 giugno 2005
Per alcuni è il più grande interprete di canzoni napoletane dopo Caruso, per altri è il più grande in assoluto e non manca chi biasima il suo apporto canoro a favore del fascismo. Nacque il 13 di agosto del 1912 a Torre del Greco ed entró nel mondo del silenzio l’11 giugno del 2005. Giovanissimo si trasferì a Boston vincendo un concorso prestigioso; ritornò in patria studiando a Bologna e con Francesco Salfi a Roma. Esordì in Italia, oramai trentenne, a Venezia. Lavorò anche nel cinema, quando il regista Amleto Palermo gli fece un contratto e facendogli eseguire il brano “Napule can un more” 1939, nel film dal titolo italianizzato in Napoli che non muore!. Esperienza che ripete’ qualche anno dopo (1945) nelel film diretto da Guido Brignone “ Canto, ma sottovoce!”. Debuttò sulle scene con la canzone classica al Teatro Bellini di Napoli alla Piedigrotta Bideri, anno 1949, eseguì la dolce “ Desiderio” (Arturo Trusiano – Salvatore Mazzocco).
All’inizio fu un apprezzato recitatore di poesie, richiesto soprattutto da Libero Bovio ed Ernesto Murolo. Così sviluppo la capacità di dominare il ritmo di certa poesia napoletana, la dizione, la capacità di dare espressione alla parola. Entró poi alla grande nel mondo della canzone partenopea, realizzando molte registrazioni di portata storica. Interpretazioni come quelle di ‘A vucchella, Napule canta, Silenzio cantatore, Dicitencello vuie o Nun me scetá!, solo pe citarne alcune, sono caratterizzate de un rispetto della nota scritta che non è frequente.
La canzone napoletana ha un suo stile, un valore artistico, una dignità e una lunga storia spesso occultate da esecuzioni maldestre di molti cantanti, incluso grandi tenori lirici. La canzone napoletana non è per tutti, anche se è cantata da tutti. C’è da essere veramente napoletani per giungere alla sua essenza. O avere la genialità e l’orecchio di un Tito Schipa. Pertanto, è necessaria una grande familiarità con Napoli, con la sua musica, la sua storia, col suo linguaggio e la sua letteratura.
Francesco Albanese, è, a nostro parere, un tenore lirico che interpreta la canzone napoletana di maniera esemplare ed è da annoverare tra i maggiori in assoluto, in buona compagnia del divino Fernando De Lucia, che fu il primo e in molti casi resta il primo, di Enrico Caruso, la più poderosa “voce di Napoli”, del già citato Tito Schipa, maestro di stile e di musicalità, ed Enzo De Muro-Lomanto, cantante di classe superiore e bella voce in qualche modo carusiana e infine, (perché no?) un altro napoletano, Augusto Ferrauto, ormai pressoché dimenticato.
Con Francesco Albanese la canzone classica napoletana dovrebbe sempre suonare, senza urla, lamenti, gemiti, lacrime, eccessi di vario tipo, ben costruita con un cantabile che la dignifica, mantenendola nel suo ambito di musica “colta”. Egli stesso ebbe a dire che il suo merito era di cantare “senza effetti e senza artifici” ciò che gli autori avevano stabilito.
Al San Carlo, nel 1961, concluse la carriera dopo 21 anni di successi in Lo schiavo di sua moglie. Un ritiro forse prematuro. Beniamino Gigli lo salutò come «l’Imperatore dei Tenori”. Trovò impiego come funzionario alla Cassa per il Mezzogiorno e visse appartato a Roma con la sua seconda moglie, il soprano Onelia Fineschi da cui ebbe una figlia. Il critico Gualerzi lo considerò nel campo della canzone napoletana secondo solo a Caruso. A Torre del Greco, dal 1994, si tiene un concorso di canto lirico che porta il suo nome.
Ascolti:
Uocchie c’arraggiunate
(Alfredo Falcone/Fieni-Rodolfo Falvo, 1904)
Orchestra di melodie e canzoni dir. Maestro Giuseppe Anepeta
Questa canzone non è entrata nel repertorio de tenori d’opera per cui Albanese è praticamente solo, sceglie un registro medio scuro e acuti potenti e luminosi, è interpretazione pregevole e importante per chi ama la canzone napoletana cantata da tenori. Però questa canzone non nasce per la voce di tenore. È canzone perfetta per un Murolo o un Cigliano, e ancor più per il cantare duttile, come Gianni Lamagna, capace di una squisita musicalità che rende espressive anche le pause.
Core ‘ngrato!…
(Salvatore Cardillo-Riccardo Cordiferro, 1911)
Qui invece i celebri tenori ci sono tutti. Caruso fu il primo e resta il primo con la sua miracolosa, travolgente interpretazione che commuove al massimo grado e desta la più grande ammirazione per il fraseggio, i colori, l’intensità che non permettono confronti. Quindi senza fare confronti ascoltiamo come Albanese (registrazione del 1947) costruisce la sua pur stupenda interpretazione introspettiva, accorata, smorzando gli acuti anziché di cantarli forte, riservandosi unicamente una potente esplosione sonora nel finale.
Silenzio cantatore
(Libero Bovio-Gaetano Lama, 1922)
Orchestra tipica napoletana diretta dal M. Cesare Gallino.
Anche in questo caso Albanese svetta, insieme ad Augusto Ferrauto, sul folto gruppo di tenori lirici che hanno lasciato incisioni di una canzone che richiede grande gusto e musicalità per far brillare la splendida melodia di Gaetano Lama. Qui Albanese appare più estroverso del solito e non avita al finale di sparare qualche acuto a tutta voce.
Nun me scetà !
(Ernesto Murolo-Ernesto Tagliaferri, 1930)
Registrata nel 1946. Andamento leggermente mosso. Dinamica centrata sul medio-forte e timbro caldo, bellissimo, dizione incisiva, belle smorzature di note tenute mai eccessivamente tenute, melodia delineata con giusta misura rivestendola di un’aureola di classicità. Versione di riferimento tra quelle dei tenori d’opera, e non è cosa da poco visto che primeggia su pezzi da novanta, da Aureliano Pertile o Placido Domingo. Tra i cantanti chitarristi spiccano Roberto Murolo e Fausto Cigliano che fanno apparire la canzone nel suo tono di serenata-barcarola. Versione di riferimento assoluta, nostalgica, struggente e quella che vede insieme Gilda Mignonette e Vittorio Parisi.
Dicitincello vuje… (Enzo Fusco-Rodolfo Falvo, 1930)
EIAR Orchestra ca. 1948
Gigli, Schipa, Di Stefano, Bergonzi, Jan Pierce, Del Monaco, Corelli, Carreras, Pavarotti capeggiano uno stuolo di tenori d’opera che hanno contribuito al successo di questa canzone da annoverare tra i veri capolavori. Come sempre Albanese centra il tempo giustamente moderato, non fa il tenore evitando gli acuti a tutta voce e addolcisce il tono al massimo per rendere tutta la tenerezza dei versi. Però l’esercito di tenori e baritoni farà bene a togliersi il cappello quando a intonare questa canzone sono un Vittorio Parisi, un Gennaro Pasquariello, un Mario Abbate.
Napule ca nun more
(Domenico Tito Manlio – Giuseppe Bonavolontà, 1930)
Francesco Albanese aveva in repertorio anche canzoni meno celebri e meno tenorili, come questa e altre Gelusia!… (Domenico Tito Manlio- Amleto Alfieri – 1929) , Mandolinata amara (Nicola Quagliero – Michele Celentano, 1951 ), Senz’odio e senz’ammore (Ernesto Murolo –Tito Petralia, 1942) dimostrano un vero amore per la canzone napoletana e non l’opportunismo di molti tenori che hanno inciso canzoni napoletane perché fa cassa.