Giuseppe Torelli: il concerto grosso evolve verso quello solistico.
Di Alessandra Cesarini
Veronese di nascita (22 aprile del 1658) ed indirizzato dal padre alla carriera di pittore, si recò giovanissimo a Bologna seguendo la sua vocazione di violinista ed entrò come allievo all’Accademia Filarmonica della capitale emiliana, divenendo così un compositore noto in Italia e all’estero (soggiornò a Vienna per un breve periodo e fu ingaggiato alla Corte di Brandeburgo ad Ansbach). La sua attività fu contemporanea a quella di Corelli e venne a contatto con la ricerca romana del Concerto grosso grazie a Stradella, il quale soggiornò a Bologna per un periodo; nonostante Torelli chiamasse i suoi concerti dell’Opera 8, grossi, in realtà ne compose alcuni per violino solista, come lui stesso scrisse: ”Se in qualche concerto troverai scritto SOLO dovrà essere sonato da un solo violino, il rimanente fai duplicare le parti, eziando tre o quattro per ogni strumento così scoprirai la mia intentione“. Torelli sentì l’esigenza di decantare la qualità del solista rispetto al “Tutti” creandogli uno spazio proprio, con possibilità di maggiore movimento e di una indipendenza di esecuzione più accentuata comunque in sintonia con “il tutti orchestrale”.
Durante il soggiorno brandeburghese, Torelli compose i dodici Concerti Musicali op. 6 che dedicò a Sofia Charlotta di Brunswick-Lüneburg Elettrice di Brandenburg, futura regina di Prussia. Donna colta e appassionata di scienza e musica, creò un clima di particolare ricchezza culturale ed economica a Berlino, dove accolse numerosi musicisti, tra i quali Arcangelo Corelli e Giovanni Bononcini, al quale conferì l’incarico della direzione di un teatro d’opera italiano, e filosofi come Gottfried Leibniz. Questa raccolta, pubblicata ad Augusta nel 1698, occupa un particolare rilievo storico in quanto contiene i primi tre esempi di una nuova forma nella quale il violino diventa strumento solista, contrapposto all’orchestra d’archi: il n.6 in do minore, il n.10 in re minore e il n.12 in la maggiore. Il compositore introdusse ancora altre innovazioni che costituiscono uno dei punti di riferimento nello sviluppo del concerto, come descritto da A. Basso: «Torelli propone anche un diverso schema formale, in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro), mediato dalla sinfonia d’opera; tale schema s’imporrà subito come il più consono alla forma del concerto solistico, la cui caratteristica principale sarà quella di esaltare la funzione del solista in chiave dapprima di guida poi di virtuoso. Dei tre tipi di concerto barocco (concerto grosso, concerto solistico, concerto di gruppo), quello solistico s’impose ben presto come il più comune e, dopo il 1750, rimase praticamente l’unico a rappresentare il genere». Nonostante questi concerti strutturalmente ci conducano verso Corelli ed Händel piuttosto che a Bach, fu proprio il genio di Eisenach ad ispirarsi ad essi per comporre i Sei Concerti Brandeburghesi. Notevoli sono tutte le composizioni che Giuseppe Torelli dedicò alla tromba e all’orchestra d’archi, si tratta di concerti, «Sinfonie» e «Sonate» composte nel 1690, per la Cappella musicale di San Petronio, a Bologna; queste composizioni sono estremamente importanti per documentare l’evoluzione del concerto e della tecnica dei ritornelli. Questi bellissimi concerti sono a tre, quattro e talvolta cinque tempi, ma sono tutti di breve durata: pochi sono i movimenti che durano più di due minuti. Si tratta di composizioni barocche nel senso più autentico del termine, nelle quali Torelli mostra uno stile intrigante. Nei tempi lenti di ogni composizione, a volte brevissimi e con funzione di passaggio, a volte più lunghi, la tromba (o le due trombe) tace, dando la parola ad uno o due violini solisti, rendendo tutto più vario e vivace. La più celebre di queste composizioni è il Concerto Estienne Roger che fu usato anni fa come «colonna sonora» per l’enciclopedia multimediale Omnia di De Agostini, oppure la Sinfonia G 13, dai caratteri vagamente marziali. La grandezza di Torelli fu oscurata dalla contemporaneità con Corelli, il quale nel suo concerto grosso, consacra la tipica formazione del concertino, cioè del gruppo di strumenti solisti contrapposto al «tutti» dell’orchestra, costituito da due violini ed un violoncello. Torelli, invece, si discosta dalla pratica gesuita della sonata da chiesa e di quella da camera, per tentare varie combinazioni concertanti per archi e per fiati, per poi limitarsi negli ultimi suoi concerti a stampa, prima ai due violini di concertino, infine ad un violino solo.
La struttura entro cui si profila il concerto tipico di Torelli si ravvisa nei tratti solistici, che consistono in collegamenti modulanti fra una riproposizione del tema ed il ritornello del «tutti» in tonalità differenti.
Ne deriva una assoluta dialettica fra il materiale tematico del «tutti», per lo più limitato al ritornello principale, e quello dei «soli», che spesso funge da gioco strumentale di bravura, sopra accordi spezzati o note ribattute. Nelle composizioni a stampa precedenti l’op. 8, quelli che Torelli chiama sonata a tre (op. 1), concerto da camera (op. 2), sinfonia (op. 3 ed op. 5) e concerto a 4 (op. 5 ed op. 6), non differiscono nello schema formale e si rifanno, quasi tutti, al modello in quattro tempi della sonata da chiesa: adagio, allegro, adagio, allegro. Torelli fissa lo schema in tre tempi nel proprio concerto: due tempi allegri separati da un tempo centrale, tipico del musicista veronese che in tal modo evidenzia la concezione solistica del concerto, poiché l’episodio vivace dello strumento solista non è altro che una vera e propria esibizione virtuosistica, anticipando la cadenza del moderno concerto. La cadenza veniva chiamata col singolare appellativo di «perfidia» e poteva essere scritta a parte, come quella moderna, per poi inserirla, nel cuore della composizione; come provano le due «perfidie» autografe di Torelli, staccate da ogni contesto, conservate nell’Archivio di San Petronio.
Quanto mai varie nella successione dei tempi appaiono invece le opere manoscritte di San Petronio, dove Torelli non fa grande distinzione tra sonata, concerto e sinfonia, ma introduce spesso forme di danza suggerite dalla sonata da camera.
Questi lavori non destinati alla pubblicazione, ma atti a rallegrare le manifestazioni in chiesa o animare i suonatori dilettanti che rinforzavano l’orchestra della cappella, queste composizioni miravano a suscitare effetti di contrasto in un gioco di piani sonori differenziati, che lasciano spazio a forme più libere, meno controllate di quelle delle opere a stampa. L’arte di Torelli, si individua nella vivacità dell’invenzione, mista ad una malinconia di sottofondo che talvolta si ravvisa nei tempi lenti. Volendo raccogliere i caratteri dell’indole del compositore, attraverso le poche lettere inviate a Perti da Pistocchi (musicista con il quale suonava spesso) e dallo stesso Torelli, si evince: «la mia maledetta ipocondria e malinconia – scrive in una delle lettere – che, abbenché io abbia una cera da principe, mi tormenta molto».
Uno dei concerti Op. 6 n 10 composto a Brandeburgo dove si evidenzia il dialogo tra violino e accompagnamento orchestrale
Bach si ispirò ai 12 concerti Op. 6 componendo, 10 anni dopo la morte di Torelli nel 1709 i Concerti Brandeburghesi; Ecco il Concerto n 3 in G major
Il Concerto per tromba Estienne Roger colonna sonora della Enciclopedia Omnia De Agostini
La solenne sinfonia C major eseguita dalla Serenissima
La fama di Torelli fu oscurata dalla contemporaneità con il musicista Arcangelo Corelli. Ascoltiamo il Concerto grosso Op. 6 n 4
Ed ecco il meraviglioso Concerto in Pastorale per il Santo Natale Op. 8 n 6 dove Torelli fissa lo schema in tre tempi