Un interprete del tempo: Léo Ferré
Di Alessandra Cesarini
Léo Ferré è uno dei più grandi protagonisti della canzone francese del Novecento e la sua opera simboleggia la sperimentazione linguistica e musicale di maggior successo avuto nella Chanson. Nato nel Principato di Monaco il 24 agosto 1916 godette di una certa popolarità anche in Italia dove studiò presso un Collegio di Bordighera dai 9 ai 14 anni.Visse in Toscana dal 1969 fino alla morte; l’artista monegasco pubblicò anche un paio di album cantati in italiano. Come poeta Ferré si ispirò soprattutto alla generazione francese dei maledetti:Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e ai grandi del Novecento: Apollinaire, Aragon per interessarsi poi anche agli italiani Pavese e Testori, tutti autori da lui musicati ed interpretati nei vari recitals.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” musicata da Léo Ferré
Louis Aragon disse “bisognerà riscrivere la storia della letteratura un po’ diversamente a causa di Léo Ferré”.
Ascoltiamo dalla voce di Bernard Lavillers nella meravigliosa canzone di Aragon musicata da Ferrè “Est ce ainsi que l’hommes vivont”
Come compositore ha avuto una formazione eclettica, anche in questo caso molto francese, assorbendo tanto dalla tradizione sinfonica d’oltralpe quanto da quella ‘leggera’ come la canzone di strada e il cabaret con un pizzico di curiosità per il rock: nei primi anni’70, si affiancò, ormai più che cinquantenne, alla contestazione del 68 a cui dedicò nel 1969 la canzone “ Comme une fille”. Ferré era dotato di un’impetuosa presenza scenica, formatasi dopo anni di gavetta nelle caves parigine: sempre vestito di nero, anarchico dichiarato, dagli anni ’70 gli cadevano i lunghi capelli bianchi conferendogli quell’aria spettrale, da oscura coscienza della società francese alla quale non risparmiava dure provocazioni: ”È un Paese che mi disgusta non c’è modo di farsi inglesi,o svizzeri, o merde o insetti dovunque sono confederati, bisogna vederli a tele-urna, questi vespasiani da cabina elettorale, con la scheda tra i coglioni e il disprezzo in un manifesto, hanno votato… e poi, dopo?”, (Ils ont voté, 1969) .
Numerosi furono gli episodi di censura, le polemiche sui suoi testi: nel 1961, furono distrutte le copie del disco con la canzone “Mon Général”, che attaccava De Gaulle, per fortuna il nastro dell’incisione, conservato riapparve nel 1980 e fu ristampato; nel momento storico in cui si miscelavano tutte queste tendenze, una così forte inquietudine anarchica e politica, trovò una formidabile sintesi nella sua opera: un mirabile miscuglio di musica e poesia ottenuto tramite una voce espressiva, nella semplicità della canzone commerciale composta da strofa e ritornello che comunque gli conferì grandi successi.
Non trascurabile fu l’influenza che ebbe su Ferré il surrealismo dal quale emergono certe figure fantastiche che animano molti dei suoi testi e che li rendono a tratti incoerenti:”Ascoltami Lazzaro quando i pendoli suoneranno le loro voci stellari e i boulevard non si trascineranno più per terra tu potrai risorgere in questo secolo bizzarro”( Écoute-moi, 1970), quasi immagini archetipiche che trapelano dalla coscienza, che si esprimono a tratti in una lingua elegante e rarefatta e che si contamina spesso con l’argot parigino e i feroci frasari da strada. Nel surrealismo Ferré trovò la trasfigurazione artistica del desiderio sessuale, sempre reclamata nelle sue canzoni a causa di un’educazione estremamente repressa subita nel collegio religioso dove fu costretto a studiare. Da questo background ereditò una certa capacità profetica: in un pezzo del 1958, “Vitrines” egli dichiarava con sarcasmo a ritmo da habanera, come il benessere economico del dopoguerra si fosse tramutato in un triviale consumismo che avrebbe venduto con le stesso marketing pubblicitario il prosciutto e la musica di Mozart.
Approdato a Parigi nel 1935 per studiare diritto, Ferré comincia la sua carriera in un contesto di estrema innovazione della canzone francese momento nel quale si affermavano altri nuovi talenti destinati ad una grande carriera: Georges Brassens, Jacques Brel, Charles Aznavour, Gilbert Becaud, Edith Piaf. Il poeta guadagna presto visibilità, prima come autore e poi come interprete, con miriadi di composizioni, molte taglienti e provocatorie ma anche tenere e malinconiche, che rinnoveranno la scena parigina dell’epoca: A Saint-Germain-des-Près (1946), dove si immagina in compagnia dei suoi poeti preferiti a vagabondare per il famoso quartiere, “Thank you Satan” (1961), dove ringrazia il diavolo per la possibilità di tragressione, “C’est extra” (1969) un’ esaltazione erotica della la figura femminile. Nel frattempo, alcuni suoi brani come “Paris-Canaille” (1953) e “Jolie Môme” (1961), ebbero successo di pubblico, più commerciali ma sempre irriverenti, interpretati da Ives Montand e Juliette Greco. La consacrazione definitiva di questo lungo periodo si ravvede nel disco live “ Leó Ferré recital en public au Bobino” del 1969.
Ascoltiamo “Thank you Satan”
“C’ est extra”
Negli anni successivi l’artista estremizzò sempre più i contenuti dei testi enfatizzando la sua carica provocatoria abbandonando del tutto i modi da chansonnier, lasciando spazio a una visione catastrofica di un mondo meccanizzato e disumano al quale si oppone la carica vitale degli individui. Si avvicina così alle correnti giovanili di contestazione e dopo “Salut, beat- nik!” (1967), nel 1971 produce, sul jazz rock degli Zoo una celebrazione dello stile di vita delle culture alternative comunitarie di quel periodo registrando “Les Pops” ( ‘I Pop’ nel suo primo disco in italiano su traduzioni di Enrico Medail): “Se hai i capelli lunghi e non porti cravatta, sei Pop e da quest’oggi tu sei di questa schiatta”. Ma è quando osserva il mondo con distacco, più di quando cerca di farne parte nella sua confusione, che ottiene i risultati artistici migliori; ne è un esempio “La solitude” (1971) una delle sue composizioni più stupefacenti: le strofe vengono recitate sul singolo suono di un organo e solo nel ritornello la voce si libera melodicamente con vocalizzo accompagnato da altri strumenti. Questo brano è stato cantato anche in italiano dove la resa vocale si rivela addirittura migliore.
“La solitude”
Stesso discorso per” Il n’y a plus rien”(1973), uno dei lavori più riusciti e più importanti del musicista: la title track, lunga oltre 15 minuti e basata su un ossessivo ma seducente giro armonico orchestrale, che copre un’intera facciata del vinile ed è una beffarda accusa alle illusioni perdute del ’68 francese e sul suo imborghesimento:”Lei era bella come la rivolta-Noi l’avevamo negli occhi Nelle braccia Nei pantaloni Si chiamava l’immaginazione…
Un altro baluardo della sua produzione: Le Chien dove in principio, su un tappeto di suoni creato dagli Zoo, Ferré sembra richiamare l’atmosfera delle poesie gergali del poeta François Villon (autore da lui molto amato e musicato, nel 1980) che descrivevano gli ambienti della malavita pargina del Quattrocento. L’artista ricorda i compagni di stenti e di miseria degli inizi, dopo una lunga parte in cui la voce accumula parole su parole in velocità, sostenuta da un crescendo di stridori e di sonorità elettriche, il brano decolla in chiave decisamente rock: “Possono mettermi in galera/possono ridermi in faccia/dipende da che modo di ridere/Io provoco all’amore e all’insurrezione/Yes! I am un immenso provocatore!Questa strepitosa stagione è immortalata sul doppio album “ Seul en scène Léo Ferré 73”.
“Le chien”
Negli anni ’80 e’90 Ferré abbandonò gli stilemi canzonettistici della sua prima produzione, sottolineando la veste sinfonica delle proprie composizioni, in questi anni, fruttuosi ma di minori successi commerciali, aveva deciso di non sottostare più alle esigenze di mercato per dedicarsi alla costruzione del proprio mondo artistico. Numerose le critiche rivolte a Ferré, di lui non piaceva la provocazione costante, la ricchezza derivata dai proventi artistici rispetto ad una militanza politica manifestata ma mai pienamente abbracciata, la sfida continua ai ruoli precostituiti dalle leggi del mercato artistico come quando diresse l’orchestra egli stesso, su brani di musica classica.Dopo un secondo album in italiano uscito nel 1977 “La musica mi prende come l’amore”con traduzioni di Guido Armellini. Della produzione di questo lungo periodo bisogna ricordare la sublime incisione del lungo poema di Arthur Rimbau “Le Bateau Ivre”(1982), piena di echi e di voci sovrapposte realizzando una vera e propria opera per voce, canto e orchestra, registrata dalla RCA “L’opera du pauvre”1983; il triplo album dal vivo “Léo Ferré en public au TPL Dejazet” (1988), l’ultimo disco di brani inediti “Les vieux copains” 1990, la registrazione di “Une saison en enfer”(1991), ancora di Rimbaud, ed infineil bellissimo” Les Loubards” (1986), con nove brani su testi dell’amico, Jean-Roger Caussimon.
“Les Loubards”
Léo Ferré rappresenta un tipo di artista esigente, che non cede al compromesso, che impone il suo linguaggio al pubblico e ne forgia il gusto; l’artista coraggioso, che non ha paura di dire ciò che pensa e di farsi dei nemici. Ferré è stato anche l’ultimo dei romantici, interprete di una ribellione esistenziale totale, in continua dialettica tra l’oscurità dell’inconscio e i linguaggi della vita di strada.Un artista che ha sfidato il tempo per restare sempre giovane (“Vingt ans”, 1965) ma mai nostalgico di esaltate età dell’oro “L’age d’or, 1966),riconoscendo che è inutile fare finta che tutto sia eterno perché fu lui a cantarlo, “col tempo, sai, tutto se ne va” (“Avec le temps”, 1970)
Bernard Lavillers interpreta «Avec le temps»