Una “chanteuse” in nero: Barbara
Di Alessandra Cesarini
A Parigi nel ventennio dal ‘39 al ‘58, alcuni personaggi della chanson d’auteur imitavano lo stile americano, Johnny Halliday e Silvie Vartan ne erano un esempio lampante, musica di facile consumo che faceva il verso allo stile dell’epoca; ma nello stesso tempo nascevano, sulla rive gauche, i cabaret musical-letterari, luoghi fascinosi, pieni di fumo, dove un centinaio di spettatori riempivano il locale tanto che chi si esibiva era ad un tiro di schioppo dalla gente; i testi di grande valore poetico si avvalevano di un accompagnamento musicale essenziale. Tra i grandi artisti di quel tempo ricordiamo: Georges Brassens, Jaques Brel, Léo Ferré, più tardi Serge Gainsbourg. L’esperienza di questi musicisti è stata fonte di ispirazione per molti italiani che spesso hanno tradotto il repertorio francese, ci riferiamo in particolare agli esponenti della scuola genovese. Le signore della “Chanson” spesso legano le loro storie con quelle di Georges, Jacques, Boris Vian, Yves Montand, assumendo connotazioni di vite difficili e maledette: Édith Piaf, Juliette Gréco, Barbara. La Piaf ebbe una vita così piena di disavventure ma anche di gloria da sembrare irreale, molte canzoni sono la conseguenza delle sue infatuazioni amorose: Montand, Charles Aznavour e Marcel Cerdan, ultima sua grande passione, che morì prematuramente, infrangendo il cuore del fragile “passerotto”.
Juliette Gréco appoggiata da Sartre, inguainata nel suo abito nero diventa poco a poco un’icona dell’esistenzialismo. Caso a parte è invece Barbara, caratterizzata da una voce intensa e dal suo accompagnarsi al piano (ha studiato al Conservatorio) strumento dietro al quale si nascondeva per la sua insicurezza; chiamata Monique Serf, Barbara nacque a Parigi nel 1930, seconda di quattro figli di una famiglia serba di origine ebrea; la sua adolescenza fu drammaticamente segnata dagli abusi del padre, esperienza che l’accompagnò tutta la vita e fu espressa in alcune sue canzoni come L’aigle noir o Nantes.
Il suo segno distintivo era una seduzione discreta, il fisico gracile, altissima con questi lineamenti irregolari, che la rendevano insicura. Immancabile l’abbigliamento sobrio e rigorosamente nero, colore così da lei definito “Il nero è un colore di festa, da sera, da notte, di estrema eleganza, di dignità, di pericolo, di seduzione, e certamente anche di dolore».
Difficili gli esordi con il suo desiderio di iniziare dai cabaret della Rive Gauche, costretta a lavorare come lavapiatti alla Fontaine des Quatres saisons, proprio dove si esibivano Vian e la Gréco. Successivamente grazie alla collaborazione con Brel, ebbe i primi passaggi alla radio belga ed un contratto con ”La voce del padrone”, che la introdusse nell’Olimpo dei grandi della Chanson. Brel e Brassens furono i suoi primi amori. Del primo incise una versione semplice ma di forte impatto drammatico di “Ne me quitte pas”. Del secondo riprese “La marche nuptiale”, divenuto tra le sue mani un essenziale e commovente quadretto familiare: il ricordo di un bimbo che accompagna i propri genitori a celebrare il loro povero matrimonio davanti al sindaco, tra lo stupore della gente. Compositrice della musica, mai banale, e dei notevoli testi, nel 1964 esce l’album “Barbara chante Barbara”, che verrà presentato al Bobino.
Le canzoni della Dame brune, così denominata per il brano che le dedicò il grande Moustaki, raccontano il mal di vivere e il tormento che portava dentro: tentò il suicidio, ma la sua salvezza è stata la musica; nella sua carriera ha girato un film, collaborato con Béjart e sulle coreografie di Mikhail Baryshnikov ha cantato al Metropolitan. Vinse il Gran Prix National della canzone francese. Nel 1973, s’innamora di una casa a Précy en Seine-et-Marne: dove si ritira in campagna, sua fonte di ispirazione. Nel 1980 incise l’album “Seul”: la solitudine sua inesorabile compagna di viaggio, in copertina s’intravede Barbara in lontananza dalla finestra della sua casa in campagna, sciarpa nera e occhialoni scuri da dark lady. Dopo “Seul”, non incise dischi fino al ’96. Si era ritirata in isolamento volontario, con qualche concessione per il teatro: Lily Passion con Dépardieu, approdato anche in Italia.
Nel novembre del 1996 pubblicò il suo ultimo album, altro capolavoro di delicata bellezza, «più vicino a Baudelaire che a Verlaine» affermarono i critici francesi per consacrarla alla grande poesia d’oltralpe. Partecipe alle tematiche del momento si impegnò nella lotta contro l’Aids fino al 1987 incidendo la canzone “Sidamour à mort”. Nel 2017 è stato inciso l’album “Depardieu chante Barbara” che esalta la profonda amicizia che lo ha legato alla cantante in maniera toccante e potente; già si evince dalla copertina in cui su uno sfondo rosso predomina il piano a coda di Barbara, per l’occasione suonato da Gerard Daugerre. Quest’ultimo ha collaborato a lungo con La Dame Brune dal 1981 fino morte nel 1997, artefice del progetto che ha previsto una serie di concerti al Théâtre des Bouffes du Nord. Le canzoni prescelte scandiscono i tempi di questa relazione tra l’attore e la chanteuse che, sebbene letteralmente inglobato dalla musica, s’ intreccia inesorabilmente alle vite di entrambi gli artisti. Cosi racconta Depardieu in alcuni passaggi del suo libro, “Innocente” (ed Clichy), uscito nel 2016 «metteva in gioco tutta la sua vita. Perché non puoi arrivare a un tale livello di emozione se non hai vissuto immensamente. E non c’è una tecnica che può insegnare questo tipo di emozione, è solo una qualità dell’anima. Ed è ciò che Barbara aveva preso e imparato dalla vita, perfino le cose che poteva avere dimenticato ma che continuavano ad esistere in lei e che, a sua insaputa, venivano fuori durante una canzone. È quella che si chiama umanità».
Una secca, lacerante quasi detta “Ne me quitte pas”
“La marche nuptiale” di Brassens: un malinconico ricordo di infanzia delicatamente evocato
da Barbara.
“Ma plus belle historie d’amour” dedicata al suo amato pubblico.
In duetto con George Moustaki: “La Dame Brune”.
“L’Aigle noir”: la terribile aquila nera, il segreto dell’incesto.
“Nantes” dedicata a suo padre…
Nel 1980 incise “Seul” una implorante richiesta di amore
In “Lily Passion” lavoro teatrale con Gérard Depardieu. Scritto da Barbara e Luc Plamondon, è la storia di un assassino, David, che sente l’istinto di uccidere ogni volta che sente Lily cantare. Barbara raccontò di aver scelto il nome in onore del suo compagno David Bret, giornalista.
Gérard Depardieu canta “Göttingen”