Giacomo Carissimi: oggi 1605. Astro del Barocco nascente.
Di Alessandra Cesarini
Giacomo Carissimi nasce a Marino il 18 aprile 1605 e muore a Roma il 12 gennaio 1674. Non si sa molto di lui ma una testimonianza di Pittoni rivela che fu “assai nobile nel tratto de costumi con gl’amici, et altri … Fu alto di statura, gracile ed inclinato al malinconico…».
Della sua formazione musicale vi sono poche informazioni; probabilmente frequenta la cappella di qualche chiesa di Marino, sua città natale. La sua attività di cantore e organista pare sia avvenuta presso il duomo di Tivoli, tra il 1623 e il 1625; dal 1628 al 1629 fu maestro di cappella a San Rufino di Assisi ed immediatamente dopo a Roma Sant’Apollinare presso il Collegio gesuita germanico-ungarico. Nel 1637 divenne sacerdote. Giacomo Carissimi, fu uno dei maggiori esponenti della scuola barocca romana, e ciò lo rende particolarmente importante nel panorama musicale europeo. Le sue scelte melodiche segnarono nuovi orizzonti, regalando movimento al canto, unendo varietà e grazia e generando un insieme tra musica e azione drammatica.
La produzione di Carissimi fu incentrata nell’oratorio e nella cantata. Fu il primo a conferire forma e carattere all’oratorio portandolo in un’atmosfera epico-narrativa che differenziò questo genere dall’opera e dalla cantata stessa. La parola assume una connotazione fondamentale nello stile monodico di Carissimi, con un’immensa forza evocativa ed una profonda controparte psicologica; il tutto è completato dall’utilizzo del coro, che riveste diverse funzioni. Egli compose oltre 30 oratori: “Jephte”, “Judicium Salomonis”, “Jonas, Balthasar”, “Daniele”, “Historia divitis”, “Diluvium universale”,”Extremum Dei Judicium”.
Di notevole rilevanza sono senza dubbio i lavori sacri: messe e mottetti. Prolifera è anche la produzione di cantate (oltre 220), non tutte di carattere profano: la drammaticità di Carissimi, d’ispirazione biblica nell’oratorio, si può evincere anche in due cantate italiane sul tema del Giudizio Universale. In questo tipo di composizione possiamo ritrovare i caratteri stilistici distintivi di Carissimi, come la sobrietà dei mezzi e la plasticità della linea vocale, che si presta alle più disparate inflessioni formali; tanto che non è semplice distinguere recitativi, arie ed ariosi. Vi è una grande varietà di atteggiamenti espressivi: gli accenti tragici, amorosi, pastorali e burleschi che diverranno, in seguito, le principali caratteristiche di questo genere. Ricordiamo “Dunque degl’horti miei” e “il Lamento di Maria Stuarda”.
Il suo lavoro gli rese la fama oltre i confini romani. In una raccolta a Bracciano nel 1646 troviamo alcune delle sue cantate; numerose furono le richieste alla corte di Bruxelles avanzate dall’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo per accoglierlo a sè; anche la regina Cristina di Svezia apprezzò molto le sue opere e gli offrì asilo. In Inghilterra l’influenza delle composizioni di Carissimi si può riscontrare negli anthems della liturgia anglicana, persino Händel, nel coro “Hear Jacob’s God” del “Sansone”, fece riferimento al coro finale “Plorate filii Israel” dell’oratorio “Jephte”.
Giacomo Carissimi contribuì, senz’altro, a perfezionare le forme della cantata; fu tra i primi ad alleggerire il basso continuo, dotandolo di movimento e varietà. La sua musica rimanda allo stile appassionato di Monteverdi. La strumentazione risulta essenziale: organo o cembalo e tiorba, rinforzato dal violone o viola da gamba, per l’esecuzione del basso continuo. Nella parte concertante troviamo fiati ed archi.
La sua vasta produzione musicale ci offre l’ascolto di oratori, mottetti sacri, messe, cantate profane e da chiesa, e svariate composizioni per organo. I suoi manoscritti, vennero conservati nel Collegio germanico, ma poi depredati nel 1773 in seguito allo scioglimento dell’ordine dei Gesuiti voluto dal papa Clemente XIV; nonostante ciò, molti sono stati recuperati grazie all’intervento di ex allievi, ad oggi vengono custoditi nelle maggiori biblioteche.
Le ultime parole di Maria Stuarda sul patibolo, testamento appassionato e drammatico.
“Siam tre miseri piangenti” é un raffinato gioco di ironia, probabilmente concepito per una burla carnascialesca o qualcosa di simile.
Il duetto da camera “Rimante in pace” nell’esecuzione di Jaroussky e Lemieux.
“Florate Filii Israel” eseguito da Gabrieli Consort and Players dall’oratorio “Historia de Jephte”.
Questa potente versione del “Te deum” di Charpenter, allievo di Carissimi che ebbe notevoli doti di didatta.
“Vanitas Vanitatum” che prende il nome dalla famosa frase: “O stolto o ricco, già non più ricco, ti vedo mentre sei sepolto nell’inferno”.