Giuseppe Anselmi: Il trionfo dell’eleganza
Nicolosi, Sicilia, 16 novembre del 1876 – Zoagni, Genova 27 magggio del 1929.
Tenore tra i più celebri negli anni tra fine Ottocento e inizio della prima guerra mondiale, Anselmi era uomo di bell’aspetto con una presenza scenica che lo rendeva estremamente popolare, fu definito Il tenore delle donne, però nulla è dato di sapere della sua vita privata. Inizialmente studiò violino e pianoforte al Conservatorio di Napoli, mentre si dedicava al canto da autodidatta esibendosi in un compagnia itinerante d’operetta. Debuttò como tenore nel 1896 a Patras in Grecia nel ruolo di Turiddu. Quindi perfezionò lo studio del canto sotto la guida del celebre direttore d’orchestra Luigi Mancinelli e debuttó in Italia a Genova e poco dopo a Napoli. E intraprese una trionfale carriera internazionale che iniziò a Londra e continuò a Buenos Aires, Varsavia, Mosca, San Pietroburgo…
Però fu Madrid la città che gli tributó i massimi onori, al punto che Anselmi fece testamento affermando: “Ordino che il corpo sia cremato, però prima della cremazione sia estirpato il mio cuore e inviato a Madrid affinché sia conservato al lado del busto del grande tenore Julián Gayarre.” Desiderio che fu rispettato. Anselmi lasciò le scene nel 1918 e andò a vivere vicino Genova, dove si dedicó all’insegnamento, la composizione e riprese a suonare il violino.
A prova della sua grande fama basti dire che mentre al suo tempo i canti più prestigiosi prendevano 2.000 franchi francesi per funzione, il cachet di Anselmi era di 3.000. Nella stagione 1906-7 al Teatro Real di Madrid percepí ben 31.991 pesetas, una fortuna. Anselmi fu tra gli ultimi esponenti del bel canto ottocentesco. Tenore di grazia anche se accettó ruoli nell’ambito verista, fu memorabile interprete di Werther, Nemorino, Almaviva, Don Ottavio, Edgardo, Ernesto (Don Pasquale), Alfredo…Dotato d’una voce dolce, melodiosa, flautata, capace d’una canto di straordinaria ricchezza timbrica, d’abbandono, d’una emotività intensa ma senza eccessi: misura, eleganza, raffinatezza marcarono lo stile di questo importante artista, da non giudicare come fanno molti basandosi su Caruso. Anselmi fu cantante legato al passato belcantistico, fu più raffinato di Caruso, più fantasioso, dal fraseggio pieno di grazia e di sottile bellezza. La tecnica sopraffina gli permetteva trilli che molti soprani gli avrebbero invidiato, peró non tutto era perfetto: nel registro basso a volte il suono appare un poco gutturale. Poca cosa.
Incise 150 dischi, qualcuno rimasto inedito. Otto dedicati alla canzone napoletana, tutti di grande valore storico: otto interpretazioni basate sul perfetto dominio della lingua napoletana e vera comprensione dello spirito dell’arte di far musica a Napoli.
Eccole:
Maria Marí
(Vincenzo Russo – Eduardo Di Capua, 1899)
Canzone che si addice allo slancio tenorile di un Gigli, un Albanese o un Pavarotti, versioni non paragonabili a quella di Anselmi, fatta di finezze e delicatezze di vero tenore di grazia e quindi, andando in avanti nel tempo, le interpretazioni comparabili sono quelle di Schipa e Kraus, ambe stupende. Però, forse, il riferimento assoluto resta Anselmi, col suo badare molto più al segno scritto e all’essenza di questa meravigliosa serenata che a far sfoggio di virtuosismo e potenza vocale. Al contrario interpreta con introversione e accenti dolci e accorati.
Odeon Fonotipia 62479, 1910
Scetate
(Ferdinando Russo – Mario Costa 1887)
Interpretazione prodigiosa, al pari di quella di Fernando De Lucia. Rispetto al tenore napoletano, Anselmi canta con un fraseggio meno teso, più fluido, un ritmo più vivace senza rallentamenti, un vibrato molto meno accentuato, con tono più accorato. Nell’ambito tenorile è versione di riferimento. In generale solo la mirabile interpretazione di Pasquariello la puó affiancare e in un certo senso superare.
1907
Uocchie nire
(Giuseppe Turco – Luigi Denza, 1883)
Bella dimenticata canzone che possiamo conoscere grazie a questa interpretazione svolta con vocalità splendida, espressiva senza eccessi, portamenti realizzati a regola d’’arte, ritmo ben calibrato.
Odeon Fonotipia 62432, 1909.
Ammore ‘e femmena
E.A. Mario – Evemero Nardella, 1908
Bella canzone che Anselmi interpreta in maniera esemplare: una squisita lezione di bel canto, tutta finezze e delicata espressività.
Odeon Fonotipia 62404, 1909.
Comm’ ‘o zuccaro
(Ferrara/Correra – Fonzo,1906)
Non è canzone tenorile e infatti Anselmi, in perfetta solitudine, ci offre una dele sue più toccanti interpretazioni, sicuramente di riferimento nell’ambito dei cantanti lirici e che non sfigura all’ascolto comparato con quella del divino Pasquariello.
Odeon Fonotipia 62405, 1909.
Carmela
(Giambattista De Curtis, 1894)
Non ci sembra il caso di fare confronto tra Anselmi e De Lucia le cui incisioni sono quasi coeve. Sono due capolavori interpretativi con le ovvie differenze dovute al carattere e la sensibilità dei due tenori. Canto fluido, delicato, sensuale, tutte finezze quello del siciliano: forte pathos, tensione, accenti incisivi e sfoggio di virtuosismo tecnico in quello del napoletano.
Odeon Fonotipia 62478, 1910.
O sole mio
(Giovanni Capurro – Eduardo Di Capua, 1898)
Qui è possibile il confronto con la possente interpretazione di Caruso. E’ evidente che siamo di fronte a due mondi molto diversi. Niente acuti che spaccano cristalli, niente muscoli, niente estroversione nel cantare intimo di Anselmi, che fa lavoro di cesello in un fraseggio ricco di sottigliezze e colori.
1907 / cleaned by Malodor
Marechiare
(Salvatore Di Giacomo – Francesco Paolo Tosti. 1886)
Una Marechiare sorprendente per il lavoro di cesello teso a dar massima espressione alla melodia mantenendo un tono estatico, casi contemplativo in un trionfo del gusto e dell’intelligenza musicale. Si ascolti la versione pur bellissima di De Lucia per osservare come il tenore napoletano si esprime a un ritmo stretto e mantenuto badando soprattutto al timbro e alla dizione mentre il siciliano punta a un canto melodico, sensuale, poetico, accattivante, con modulazioni di gusto impagabile.
Odeon Fonotipia 62433, 1909