Un madrigalista alle soglie del Barocco
di Alessandra Cesarini
Quando la polifonia vocale del Rinascimento cedette il passo agli intrecci compositivi del primo Barocco, il genio di Monteverdi si affacciò al mondo, donando con la sua musica un immenso contributo all’umanità; il grande compositore dominò entrambi gli stili con grande maestria, in una dialettica possibile finanche in uno stesso lavoro, creando opere di grande fama. La sua opera sacra può considerarsi l’acme delle consuetudini corali tramandate fino ad allora, ma anche l’anticipazione di nuovi schemi musicali. Il repertorio monteverdiano rappresenta il summit delle innovazioni liriche e drammatiche che predominarono in tutta Europa.
Nacque a Cremona il 15 maggio 1567 e morì a Venezia il 29 novembre 1643. Bambino prodigio, studiò musica con Marc’ Antonio Ingegneri, maestro di cappella del Duomo di Verona e a soli quindici anni pubblicò la sua prima raccolta vocale Sacrae Cantiunculae. Dal 1582 fino al 1590, diede alle stampe i Madrigali spirituali a 4 voci, le Canzonette a 3 voci libro I, i Madrigali a 5 voci libro I ed il libro II. Nonostante la giovane età (aveva appena ventitré anni) il compositore in questa raccolta già lascia scorgere il suo grande talento. Il Madrigalismo appare brillante e vivace in questa raccolta di venti brani, impreziosito dai testi poetici del coevo Torquato Tasso. Uno dei madrigali più famosi della raccolta, nonché di tutta la produzione monteverdiana, è ”Ecco mormorar l’onde”. La sua formazione musicale comprendeva lo studio di diversi strumenti, oltre alla composizione e al canto. Nel 1590 fu nominato primo violista e due anni dopo Maestro alla corte del Duca di Mantova, Vincenzo I di Gonzaga; da allora il suo nome fu conosciuto in tutta Europa grazie ai suoi Libri di Madrigali.
Presso la residenza del Duca, molto attento ai fermenti artistici, il giovane compositore conobbe molti dei principali musicisti dell’epoca: Giovanni Gastoldi, un compositore del tardo Rinascimento, ed il direttore musicale di corte Giaches de Wert, un famoso madrigalista che ebbe non poca influenza sui primi lavori di Monteverdi. Lasciandosi alle spalle molti modelli compositivi della tradizione, il musicista intorno al 1600, fu attaccato dal monaco Giovanni Maria Artusi che criticò aspramente il quarto e il quinto libro di Madrigali (composti il primo nel 1603 ed il secondo nel 1605). Costui era un teorico della musica, un conservatore che non sopportava l’introduzione di dissonanze senza regole. Monteverdi si difese definendo la sua opera, la “Seconda Prattica”, un esempio di un nuovo stile musicale. La risposta a queste polemiche apparve nella prefazione (Dichiarazione) dell’opera seguente, “Scherzi musicali” (1607), dove il fratello di Claudio, Giulio Cesare, argomentò le ragioni dell’utilizzo di un sistema armonico così ardito.
Concepita nel 1601 “L’Orfeo” fu rappresentata nel 1607 a Mantova nel Palazzo Ducale; purtroppo la gioia della rappresentazione della sua prima opera fu flagellata dalla morte della moglie, evento che lo fece cadere in un stato prostrazione. In tali condizioni di tristezza, fu costretto a tornare al lavoro per comporre musica in vista del matrimonio di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia; scrisse per l’occasione un’opera, “Arianna”, andata perduta (a parte il famoso ”Lamento”), un brano significativo che pare abbia commosso il pubblico fino alle lacrime. Monteverdi in seguito lo adattò come un madrigale a cinque parti e lo trasformò in una canzone sacra con il titolo “Pianto della Madonna”. Nell “Orfeo”, per sottolineare la drammaticità del testo, Monteverdi utilizzò sorprendenti dissonanze. Le particolari scelte timbriche nella strumentazione resero la scenografia più suggestiva ed efficace: nella scena iniziale le ninfe e i pastori vennero rappresentati con flauti dolci, archi e strumenti a pizzico, mentre quando la scena si spostava negli inferi, i primi tromboni e l’organo predominavano sugli altri strumenti per rendere al massimo l’ambiente cupo del regno dei defunti. L’atmosfera che aleggiava in Italia mostrava interesse per la musica monodica, attraverso l’esperienza della “Camerata de’ Bardi”, favorendo il successo de “L’Orfeo”. Sicuramente il luogo della prima esecuzione, piuttosto intimo, influì sull’organico dell’orchestra, nonostante ciò il compositore riuscì a rendere la magnificenza della corte mantovana, già nella toccata d’apertura con solenni trombe e tromboni.
In seguito i rapporti con il duca di Mantova si guastarono ed è forse per questo che Monteverdi fece vari viaggi tra Venezia e Roma; nel 1610 presenziò alla pubblicazione del “Vespro della Beata Vergine” per incontrare il Papa Pio V, a cui l’opera era dedicata. Purtroppo questa missione a Roma fallì, ma Claudio ci guadagnò un posto a Venezia: nel 1613 fu nominato direttore musicale della Basilica di San Marco, incarico che mantenne fino alla fine della sua vita 30 anni dopo.
Il “Vespro della Beata Vergine” è una composizione in cui Monteverdi sfoggerà tutta la sua tecnica compositiva: doveva essere il lavoro che gli avrebbe consentito di trasferirsi a Roma. Il compositore realizzò un’opera grandiosa, dedicata alla celebrazione della Vergine, di taglio decisamente gregoriano; in composizioni così grandiose il canto gregoriano poteva risultare ripetitivo, ma la volontà di attenersi alle sue regole e la necessità modularlo secondo i modelli compositivi più innovativi, fanno di quest’opera uno esempio della maestria di Monteverdi nell’arte della composizione.
A Venezia continuò a comporre anche musica profana nonostante l’intensa attività nel condurre la Cappella marciana. Nell’ottavo Libro de Madrigali, dov’è contenuto il celebre “Lamento della Ninfa”, il grande capolavoro può considerarsi lo struggente “Combattimento di Tancredi et Clorinda”, composto per il carnevale del 1624, una cantata a tre voci dove attraverso un sapiente utilizzo degli archi (incontriamo un primo esempio di pizzicato) viene rappresentato magistralmente un duello, il galoppo dei cavalli e la morte della protagonista.
Le altre due opere di Monteverdi (sopravvissute) sono: “Il ritorno di Ulisse in patria” (1640) basata su eventi storici più che sulla mitologia classica e “l’Incoronazione di Poppea”, composta nel 1642, l’intrigante seduttrice era detentrice di tutti i difetti possibili: lussuria, violenza, avidità che sembrerebbero vincere sulle virtù. Nel mirabile “Pur ti miro” Monteverdi, invece, presenta una Poppea davvero innamorata di Nerone. Due semplici linee melodiche s’inseguono restituendo all’amore abbandono e passione. Nerone e Poppea, finalmente soli l’uno di fronte all’altra, non si curano di quello che sarà, come non si curarono di chi li ostacolava. La drammaticità della opera, considerato il primo melodramma storico viene alleggerita da alcune scene divertenti, nelle quali servi e sentinelle assonnate alleviano la crudeltà della vicenda. Si pensa che alcune parti di questa composizione siano state scritte da altri, ma l’ultimo capolavoro di Monteverdi continua ad esprimere la sua potenza espressiva.
Dal II Libro di Madrigali “Ecco mormorar l’ombre” nella versione di Rinaldo Alessandrini, studioso della musica antica, in particolare di Monteverdi e fondatore di Concerto Italiano.
Dal IV Libro dei Madrigali contro cui si scagliò l’Artusi, non sopportando le dissonanze ardite di Monteverdi. La versione dell’Arpeggiata “Vago augelletto che cantando vai”.
La stupefacente versione de “ L’Orfeo” di René Jacobs con la suggestiva coreografia di Trisha Brown e Simon Keenlyside nella parte di Orfeo (1998).
“Il Vespro della Beata Vergine” nella versione di Cristina Pluhar, musicista e fondatrice dell’Arpeggiata, che muovendosi in repertori differenti ha fatto dell’originalità un suo punto di forza, lasciando spazio a generi diversi e all’improvvisazione.
“Il combattimento di Tancredi e Clorinda”, capolavoro dell’VIII Libro dei Marigali , composto in occasione del Carnevale nel 1624 nella versione di Alessandrini.
Vi propongo il “Lamento della ninfa” (VIII Libro dei Madrigali) in questo video tratto dal film “ e pont de le art”, eseguito da Le Poéme Harmonique, alla voce Claire Lefilliâtre.
Il celebre duetto “Pur ti miro, pur godo” nella versione del controtenore Joseph Jacobs Orlinsky e Angela Avallone, molto convincenti nell’inseguire le mirabili linee melodiche del canto.