Mauro Caputo
Casoria (NA) 12 settembre 1944- 24 maggio 2017
Nato a Casoria, figlio di un ciabattino, fin da ragazzo, anche su incoraggiamento dei colleghi, che apprezzavano le sue doti canore, aveva iniziato a esibirsi come cantante nel repertorio classico della canzone napoletana. In un’irrefrenabile attività lavorativa ha realizzato dischi, si è esibito in spettacoli, matrimoni, feste private e di piazza. Conobbe un discreto successo, non solo a Napoli, negli anni Settanta e Ottanta. Era l’epoca di Merola, Pino Mauro, Mauro Nardi, Mario Trevi, Nino D’Angelo…e ritagliarsi uno spazio, per una personalità marcata dalla timidezza come quella di Caputo, non fu facile.
Artista apprezzato per il suo timbro vocale caldo e pur chiaro, e per il delicato eppur potente pathos melodico. Si considerava discepolo di Sergio Bruni e chiaramente molto deve al Maestro però immaschera il suono su posizioni più in alto rispetto a Bruni, per cui la gamma timbrica si pone a metà strada tra quella di Bruni e l’altra del sommo Maestro Mario Abbate il cui registro era nettamente “di testa”. Di Abbate coglie anche il fare elegante, una certa signorilità, il fraseggio scevro di eccessi ed effetti fine a se stessi. Però si tratta di ascendenze che Caputo elabora per giungere a uno stile suo, senza minimamente forzare la voce o tentare d’impostarla, in realtà non ha fatto altro che mettere in campo il dono d’una voce naturalmente portata al canto melodico con una timbrica bella perché nata bella e non frutto di pratica e studio.
Il suo maggiore successo, ‘A Storia d’ ‘o pittore, è canzone molto passionale. Non dimentichiamo Pe’ sempe, canzone d’amore nella quale Caputo dimostrò la sua forte vocazione melodica. Era il 1978 e il brano scritto da De Rosa e Orabona uscì su un 45 giri, sul retro aveva Senza gelusia e che poi diede nome ad un Lp di successo, che vendette oltre duecentomila copie e conteneva altri pezzi come T’aggia scurda’, Canzone pe’ Maria, ‘A voce d’’e marrucchine ed altre.
Notevole è anche il suo lavoro di rivisitazione di canzoni dell’epoca d’oro, ponendosi quale continuatore di una tradizione e facendolo, forse istintivamente, in maniera da aggiungere classicità alle canzoni classiche, con un cantare fluido, senza eccessi e forzature, senza nemmeno involgarire la lingua napoletana, considerandola appunto una lingua e non un dialetto, con toni e accenti più della borghesia colta che della gente che abitava nei bassi di Forcella o della zona del porto.
Si è detto e scritto che Mauro Caputo sia stato il ponte di collegamento tra i cantanti “vetero-melodici” e i “neo-melodici”. Innanzitutto Caputo non è un veterano del canto melodico napoletano. Come non lo sono un Mario Abbate, un Nino Fiore, una Miranda Martino. Nelle sue molteplici sfaccettature, dovute alle epoche e alle diverse personalità degli artisti, il canto melodico napoletano é lo stesso da Fernando De Lucia a Gianni Lamagna. Non si può certo dire che dopo De Lucia o Caruso, un Francesco Albanese sia un veterano. Nessuno di loro ha guerreggiato. E il mite Caputo, senza tatuaggio alcuno, non ha colpa alcuna in relazione al fenomeno de cosiddetti neo-melodici capitanati dall’aitante Alessio. I neo-melodici in realtà andrebbero definiti “non-melodici”. Mauro Caputo non merita questa accusa. È del tutto innocente.
Scetate
(F.Russo-P.M. Costa, 1887)
Interpretazione segnata da un garbo e una melodiosità che la pongono tra le più apprezzabili tra quelle apparse tra i cantanti delle generazioni successive a quelle di Sergio Bruni e Roberto Murolo, da affiancare a quella finemente ricamata di Mario Abbate. Il disco di Caputo caricato in Youtube si blocca prima del finale. Sarebbe opportune che qualcuno lo ricaricasse.
L’urdema canzone mia
(Vincenzo Russo – Eduardo Di Capua, 1904)
Questo è un raro esempio di una morte annunciata con versi, che, se da un lato possono essere macabri, dall’altro sono molto commoventi. Vincenzo Russo lasciò ad Eduardo Di Capua il manoscritto di L’urdema canzone mia e sotto il testo scrisse: «E’ l’urdema canzone ca ve scrivo, ‘mparatavella e tenitavella ‘ncore. Addio canzone meje, io me ne vaco e vuie restate pe’ ricordo ‘e me» (E’ l’ultima canzone che vi scrivo. Imparatela e portatela nel cuore. Addio mie canzoni, io muoio e voi restate in mio ricordo).”
Da Fedinando Rubino a Giulietta Sacco e finanche a Mario Merola, col suo accento lievemente truce, vari interpreti hanno registrato questa meravigliosa canzone non facile d’interpretare. Il tono sommesso di Caputo dice d’una serena accettazione della morte. Certo il poeta fu stroncato dalla tubercolosi a solo ventotto anni d’età. Un’età che rende alquanto difficile accettare una morte cosí dolorosa e cosí prematura. Però Caputo sembra confidare nella maturità del poeta e imposta la sua interpretazione evitando accenti troppo drammatici e laceranti, e cantando con fluidità e giusta espressione melodica.
Lusingame
(Taranto-Festa, 1956)
Canzone che sembra scritta per una voce come questa. Melodia resa con calibrata espressività.
‘O lupo
(Dionisio Sgueglia – Eduardo Alfieri 1957)
Canzone di un certo pregio che ebbe una discreta diffusione grazie alle interpretazioni di Sergio Bruni e Franco Ricci. Poi ne vennero altre, tra le quali una molto intensa di Nino Fiore, un’altra molto amata da un certo pubblico di Mario Merola e questa di Mauro Caputo, cantata con finezza, dando giusta enfasi alla melodia.
Pe’ sempe
(De Rosa-Orabona, 1978)
Tra le canzoni del suo tempo interpretate da Mauro Caputo questa è tra le poche che lascia il segno. Il cantante mantiene una tensione emozionale costante e accentua bene il carattere romantico del brano.
O ciucciu
Il cuccio dalla Calabria arriva a Napoli e il dramma della sua morte si fa tragedia cosmica. E anche la comicità diventa massima. Mauro Caputo si permette qualche piccola licenza “poetica” modificando il testo e tenta di trasformare il brano calabrese canzone napoletana. Canta bene rendendo il tutto di una ilarità contagiosa.
Video diretto da Enzo De Vito